Storia della sanità, capitolo XXIII:
Gli “specialisti” nell’antica Roma

di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |

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Nella Roma imperiale furono realizzate, con processo replicante, case (Aedes Aesculapii) adatte al ricovero degli ammalati, dove venivano realizzate forme di assistenza che possiamo definire di medicina pratica, tra cui le medicatrinae. Nella società romana, caratterizzata da limitate interferenze dello Stato nella vita privata del cittadino, (anche se spesso sia i templi che le medicatrinae erano finanziati direttamente dallo Stato), la tutela del bene salute veniva principalmente affidata al capo famiglia che riuniva in sé le prerogative di magistrato, sacerdote e depositario delle nozioni mediche che tramandava al suo successore.

I romani fecero proprio il prezioso bagaglio di conoscenze elaborati in Grecia e ciò permise di sviluppare un prospero mercato, dato dal ricorso al medico privato, da parte delle classi agiate. Oltre alle prestazioni fornite direttamente presso l’abitazione del paziente, alcuni chirurghi cominciarono a destinare stabilmente dei locali attrezzati per gli interventi, dando così origine a quelle che possono essere considerate le prime cliniche private, le “medicatrinae” o a degli ambulatori privati “iatreiae” presso le quali potevano trovare posto alcuni letti per accogliere e seguire i casi più gravi.

III secolo a.C.: nascono nell’Urbe le prime cliniche “private”


Le Medicatrinae dette anche “tabernae medicorum”, in diretta derivazione degli iatrei greci, ebbero inizio a Roma con la venuta di Arcagato Peloponnesiaco, verso il 290 a.C. Erano case di salute private annesse alla casa del medico, dove si esercitava un’arte sostanzialmente empirica. Mancando qualsiasi forma di controllo in questi luoghi se da un lato si formarono abili guaritori, più spesso si sconfinò nella magia e nella stregoneria, al solo scopo di ricavarne un lucro.

Tecnicamente, le Medicatrinae disponevano di locali specifici dove si ricoveravano quei malati che richiedevano una più stretta osservazione, praticamente dei piccoli lazzaretti, mentre il “Laboratorio” fungeva da stanza di consultazione ambulatoriale. I supporti utilizzati spaziavano dai semplici mobili quali cassapanche e cassettiere dove venivano riposizionati teli e bende, anfore con acqua, olio e vino, a sofisticati strumenti medici. Non mancava mai un lettino e alcune sedie ove far sistemare i pazienti prima d’iniziare le analisi diagnostiche e somministrare le cure del caso. I medici meno importanti si accontentavano invece di un ambulatorio ricavato nella loro stessa abitazione ed adibito per visite e medicazioni. Nel VI sec. d.C. queste strutture si erano evolute a tal punto che si potevano ritrovare soluzioni organizzativamente differenziate che vanno da strutture attrezzate al semplice ricovero assistenziale, all’ambulatorio specializzato, etc. Le istituzioni elaborate in quella fase, sia pur con alterne vicende e profonde revisioni, rimangono fino all’età moderna.

Il secolo delle “specializzazioni”: dall’oculistica all’otorinolaringoiatria, dall’ostetricia e all’odontoiatria.


In parallelo, si affermano nell’antica Roma le prime specializzazioni: oltre la classica divisione tra chirurgia e medicina, diventano popolari l’oculistica, l’otorinolaringoiatria, oltre l’ostetricia e l’odontoiatria. Seppur non si può disporre di statistiche epidemiologiche, molti sono i ritrovamenti archeologici di “pestelli per l’oculista”: piccole piastre di pietra, di circa 5 centimetri di lato, con su scritto il nome del medico e il principio attivo del medicinale con le relative indicazioni. La base per la cura degli occhi erano, infatti, gli unguenti che venivano preparati in un mortaio per realizzarne particolari da utilizzarsi come colliri (panini) come “la pomata di Onesto Lautino contro vecchie cicatrici” (Honesti Lautini diamisus ad veter[es] cica[trices]). I primi processi di specializzazione, a partire dal I secolo d.C. si muovevano dalla ricerca dei singoli medici a esercitarsi in ciò che si ritenevano maggiormente versati. Non essendoci vere e proprie scuole e non essendoci un Ordine professionale chiunque poteva autoproclamarsi medico/specialista e, con un po’ di fortuna (e fantasia), farsi una clientela. La libertà di azione e i redditi che potevano percepire i medici aiutarono lo sviluppo di queste attività, rendendole presto tra le professioni più appetibili. Alcuni ritrovamenti archeologici testimoniano un notevole livello di disponibilità di ambienti e di attrezzature. Il problema è che una scoperta medica riportata su un testo ha molte più probabilità di “transitare” a generazioni successive di quanto ne abbia una metodologia chirurgica: queste devono essere assimilate in quanto la loro descrizione, per quanto appurata non può mai essere completa e soprattutto richiede un’esperienza consolidata.

Prende piede l’industria dello strumentario chirurgico


A fianco della storia della medicina si dovrebbe parlare dell’evoluzione dello strumentario chirurgico, avviato con l’uso di ciò che la natura metteva a disposizione dell’uomo. Strumenti che svilupparono nel corso dei millenni raffinandosi in base all’esperienza acquisita e alle urla di dolore gridate dai mal capitati pazienti. Infinito sarebbe l’elenco dei ritrovamenti effettuati nella preistoria di strumenti che potrebbero aver svolto un uso chirurgico, ma il primo set completo arrivato ai nostri giorni può essere individuato in quello scoperto presso la casa del chirurgo a Pompei. I numerosi reperti ritrovati nelle città romane permettono d’ipotizzare una notevole attività indotta dalle attività medico/chirurgiche: a fianco dei primi medici nascono così i primi produttori di strumentario chirurgico e per poter effettuare questi interventi si cominciò ad utilizzare i primi oppiacei (in America, i ritrovamenti di foglie di coca in alcune tombe peruviane ne testimoniano l’uso) per lenire il dolore, con i conseguenti commerci. Una preziosa testimonianza è contenuta nel VIII libro del De Medicina, di Aulo Cornelio Celso dove sono perfettamente descritti molti interventi e i relativi strumentari, in particolare per le operazioni di cataratta, tonsillectomia, ascessi e riduzione delle fratture ossee. A Celso va anche attribuita l’individuazione dei sintomi caratterizzanti un’infiammazione: arrossamento, tumefazione, calore e dolore (“notae vero inflammationis sunt quattuor: rubor et tumor cum calor et dolor”). L’opera del grande maestro, dimenticata nel Medio Evo, fu ripresa da Nicolò V, Tommaso Parentucelli, allora semplice canonico a Bologna. Fu lui a saper cogliere l’importanza dell’opera che, in effetti, ottenne notevole successo. Questi strumenti venivano forgiati in acciaio o in bronzo, come già facevano in Grecia e Egitto. La differenza con queste realtà è che a Roma se ne fece un utilizzo su vasta scala e ciò permise un notevole perfezionamento ed in termini economici. Insomma, divenne un’industria.

La dotazione degli strumenti medici


Accetta: strumento composto da un robusto manico di legno che regge una lama tagliente, realizzato per la caccia e per la cucina, divenne anche il principale attrezzo per le amputazioni.
Ago o Aco: sottilissimo filo d’oro o d’argento nato per la tessitura venne poi utilizzato anche per rimarginare le ferite, per eseguire le suture per la deposizione della cataratta.
Alfonsino: forcipe dilatatore che serve anche a raccogliere gli eventuali frammenti dei calcoli.
Cannula: tubo sottile, d’oro o d’argento, utilizzato per l’intubazione.
Ferri per la cauterizzazione (ossia i ferrum candens, ferro incandescente). Realizzati solitamente in ferro o in bronzo, erano consisti da un lungo manico affilato ad un’estremità e terminante, dall’altra estremità, con una piccola piastra piatta che, una volta arroventata, venivano applicati sulla parte malata.
Frangitore: a forma di piccoli martelli venivano impiegati per infrangere i calcoli, il cosiddetto, male della pietra.
Leve per osso: strumenti realizzati per sollevare ossa fratturate od infossate (rimettendole a livello) o per estrazioni dentarie (soprattutto di molari) consistevano in due parti speculari agganciate.
Ondina: piccolo imbuto utilizzato per applicare colliri.
Onerino: piccolo divaricatore per le palpebre.
Pinze: strumenti atti alla presa e all’estrazione di piccoli frammenti ossei o oggetti che si erano inseriti nel corpo, in particolare le punte delle frecce, non afferrabili o rimovibili con le dita.
Scalpelli: la cui evoluzione portò, a partire dal XV secolo, alla definizione dei bisturi: di diversa forma e dimensione, da quelli più corti (12 cm) a quelli più lunghi (20cm) servivano soprattutto per effettuare incisioni più o meno profonde ed estese.
Specillo: particolare strumento a forma di asta sottile usato per sondare fistole, ferite o le cavità comunicanti con l’esterno.
Trapano: strumenti impiegati per rimuovere le parti malate o per asportare oggetti di notevole spessore conficcatesi nel corpo
Uncini: la cui funzione era rivolta ad allargare e tenere separate le labbra di una ferita o per agganciare e spostare brandelli di tessuto.




Posted on: 2020/12/02, by :