Storia della sanità, capitolo XXVI: il greco Galeno rivoluziona la medicina

di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |

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Dalle intuizioni ricavate dall’esperienza in campo traumatologico, nonché dall’effettuare le autopsie sui cadaveri dei gladiatori (per carpire i segreti della loro forza), a Roma, Galeno (lo stesso dei preparati galenici), poté sviluppare gli studi comparando l’apparato umano con le osservazioni ricavate dal resecare animali vivi. In particolare esaminò i fasci nervosi emergenti dal midollo spinale e poté dimostrare la loro azione d’innervazione dei muscoli.

Lo stesso metodo lo portò alla scoperta di sette nervi cranici su dodici, individuando la funzione del nervo ricorrente, da allora chiamato il nervo di Galeno: dopo diverse prove sui malcapitati animali annotò che una volta reciso il nervo, il maiale (già all’epoca considerato l’animale più simile all’uomo), smetteva di lamentarsi.

Sezionando il midollo spinale a vari livelli e su diverse specie animali (oltre ai maiali, anche le scimmie diedero un notevole contributo alle sperimentazioni di Galeno), dimostrò, infatti, che i nervi spinali non solo portano la motricità (nervi duri) ma anche la sensibilità (nervi molli) delle aree innervate. Notò, infatti, come il taglio causava non solo la paralisi, ma anche la completa anestesia della parte sottostante. Sempre a livello di sistema nervoso, distinse le lesioni degli emisferi cerebrali da quelle del cervelletto, vivisezionando diverse tipologie di animali, in particolare le scimmie.

Legando gli ureteri, sempre di animali vivi, poté dimostrare che l’urina si va a formare nei reni e non nella vescica (come si riteneva), e sempre a lui è dovuta la scoperta delle valvole cardiache. Purtroppo l’assunto errato “anatomia animale = anatomia umana” lo portò anche a conclusioni profondamente sbagliate: una per tutte, quella che alla base dell’encefalo umano vi fosse una “rete mirabile”, la quale, invece, è presente solamente negli ungulati.

I preparati galenici: il Methodus medendi


In compenso, grande merito va riconosciuto a Galeno per aver tramandato, attraverso la sua opera più conosciuta, il Methodus medendi, la descrizione di 473 composizioni farmaceutiche di origine animale, vegetale e minerale, unitamente alla loro prescrizione medica nelle varie malattie, alcune delle quali valide a tutt’oggi, in particolare la classificazione dei farmaci in base ai loro effetti farmacologici, in accordo alle loro qualità nella patologia umorale. Galeno cataloga i farmaci in tre gruppi:
I) I farmaci elementari, i quali posseggono una sola qualità di freddo, caldo, umido e secco.
II) I farmaci composti, farmaci complessi che posseggono più di una qualità e che sono classificabili in base al loro livello di efficacia.
III) Le entità, cioè farmaci con azione specifica (quali i lassativi, i diuretici, etc.).

Nell’opera di Galeno, non solo le erbe vengono impiegate per combattere le malattie: si prova anche con i minerali. Grazie a lui, per secoli il lapis pregnans fu usato come facilitatore durante il parto. Da questa mole interdisciplinare di conoscenze, Galeno non elaborò una vera e propria filosofia, ma riuscì a riassumere le impostazioni fino ad allora individuate: la teoria ippocratica degli umori, la triplicità dell’anima platonica e la ragione aristotelica dello spirito vitale.
Dalla sintesi di queste impostazioni Galeno giunse alla conclusione che lo spirito o altrimenti detto il neuma, una volta inspirato dall’essere umano arriva ad irradiare tutte le sue parti (cervello, cuore, fegato e gli altri organi che movimentano le specifiche funzioni: metabolismo e digestione, movimenti e sensi, sangue e temperatura).
Ne consegue che la patologia non è altro che lo squilibrio di opposte qualità: caldo e freddo, umido e secco, benessere e malessere e la guarigione era rappresentata dal ristabilire l’equilibrio delle stesse, eliminando la parte eccedente. Aiutare l’espulsione di questa materia peccans tramite salassi, purganti, clisteri ed incisioni diventava quindi la principale prassi terapeutica da attivare con maestria e secondo le esigenze.

L’eredità galenica e lo studio delle “patonimie”


A Galeno è inoltre da attribuirsi il testo De quomodo morborum simulantes sint deprehendendi, che tratta delle simulazioni delle malattie, definite “patomimie”. I soggetti che manifestavano questa antichissima patologia erano soprattutto schiavi che avevano ben d’onde a simulare malattie o più esattamente ad accentuare gli effetti dei danni provocati da una vita non proprio sana. Ma affetti da questa malattia erano anche i militari per evitare spedizioni pericolose o funzionari dell’amministrazione un po’ scansafatiche. Galeno scrisse a tal proposito: “Per molte ragioni gli uomini simulano di essere malati. Sembra dunque lecito che il medico sia in grado di scoprire il vero in tutti i casi simili. E gli ignoranti credono che a lui non sia possibile poter distinguere quelli che simulano da coloro che dicono la verità”. Problema ancor oggi aperto.

La gestione delle malattie inspiegabili portò, durante il tardo impero ad alcune regressioni, come la reintroduzione, ad opera di Origene di Alessandria, della credenza che l’epilessia e il sonnambulismo fossero di origine demoniaca, cosicché gli epilettici vennero esclusi dall’Eucarestia. L’unico interesse che i romani coltivarono con passione fu la fisionomia: ammesso che questa materia possa essere avvicinata alla medicina. Scopo di questa disciplina, che si rivolge sia agli uomini che agli animali, era, da un lato, quello di stabilire le peculiarità degli individui, esaminando le differenze fisiche e razionali, dall’altro d’individuare i rapporti intercorrenti tra l’espressione del volto e il carattere o altre peculiarità di una persona, compresa la possibilità di conoscere la sorte ultra terrena del singolo, sempre in base ai lineamenti. Anche se si fossero conservati è però probabile che questi studi, più che alla medicina, oggi servirebbero ai registri teatrali che spesso devono cimentarsi nel ricercare nuove espressioni per i loro attori.




Posted on: 2021/01/04, by :