Storia della sanità, capitolo XXXV: la Medicina conventuale

di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |

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La nascita del monachesimo cristiano avvenuta soprattutto in Egitto ed in Siria, fin dalle sue origini si caratterizzò per la disponibilità ad accogliere tutti: poveri, pellegrini e malati, così come prevedeva l’insegnamento cristiano. Non si trattava solo di un’attività d’emergenza, cui ricorrere in caso di calamità, ma di organizzazioni stabili che, a partire dalla loro costruzione, si ponevano il problema di come dare assistenza ai bisognosi e agli infermi.

Visti i tempi primo obiettivo era quello di offrire un rifugio-riparo e, quindi, non deve stupire se molti monasteri assomigliano, anzi sono, vere e proprie fortezze e i monaci sono spesso anche abili guerrieri. All’interno dei robusti muraglioni degli antichi monasteri, si andarono ad organizzare appositi spazi per gli orfanotrofi, per le infermerie, per gli xenodochi che, con il passare del tempo, si trasformarono in ospedali veri e propri.

Lo sviluppo impetuoso dei monasteri

L’importanza sociale e politica che ne derivò fu impressionante: in un contesto privo di certezze e spesso dominato dalle barbarie, i monasteri divennero spesso l’unico faro di civiltà, anche per quanto riguarda gli aspetti sanitari. Prima il Concilio di Nicea, poi le Regole degli ordini monastici (da san Benedetto, a quella dei cistercensi), hanno letteralmente ridisegnato la medicina nell’Europa dilaniata dalle conseguenze delle dominazioni barbariche. Le attività sanitarie all’interno dei monasteri in Occidente prendono probabilmente come modello l’opera di San Pacomio che, intorno al III secolo, organizzò nella Tebaide, in una grande comunità monastica di 5000 cristiani, un’infermeria nettamente separata dal resto degli spazi comuni, cui presiedevano dei “Ministri degli infermi”.

A partire dal IV Secolo, con i favori della Chiesa, si diffusero le prime forme di cenobitismo, cioè di vita in comune organizzata che, con l’avvento della “Regola” fissata da san Benedetto da Norcia, Patrono d’Europa, cominciarono a rispondere a un disegno organico e comune. Un Cenobio era, di fatto, sia un ospizio per i viandanti, sia un Ospedale per gli infermi. In quasi tutti i monasteri fu predisposto un locale, detto Foresteria, adattabile al ricevimento dei viandanti che si presentavano alla porta del convento. Tale locale era posto ai margini della struttura, in modo da non interferire con le normali attività e facilmente osservabile dall’abate che aveva il compito di proteggere la tranquillità del monastero. Più che di un ospedale, come viene inteso oggi, si trattava di uno stanzone dove poter consumare del cibo e qualche locale per il bivacco notturno.

Considerato il crescere della domanda e gli oboli lasciati dai viandanti, si poterono realizzare locali di considerevoli dimensioni. Anzi, come ricordano gli statuti dei monasteri cistercensi, la predisposizione di un’infermeria riservata ai poveri (Infirmarium pauperum) divenne una delle ragioni di esistenza dei conventi. Lo spirito cristiano che li animava, portò spesso i monasteri a predisporre nelle loro vicinanze edifici per l’isolamento e la cura dei lebbrosi e degli appestati. Per offrire assistenza ai ricoverati, ai monaci veniva concessa un’eccezione alla rigida regola che impediva loro di lasciare il convento.

E l’amore per la professione fu tale che, quando nel corso del XII secolo, in seguito ai divieti di esercitare la medicina nei conventi, molti medici-monaci abbandonarono l’abito talare per continuare ad esercitare l’arte della cura dei malati. Il Concilio di Tours proibì infatti ai religiosi la pratica chirurgica, adottando il principio che “Ecclesia aborrit sanguinem”, almeno concettualmente perché, di fatto, fu ampiamente tollerato. Oggi, come allora, con il concretizzarsi di condizioni di urgenza, si possono bypassare tutte le regole: oggi, come allora, rimane da definire chi detiene il potere di stabilire cosa s’intende per urgenza.

La secolarizzazione dei conventi

All’abbazia si andò progressivamente a sostituire alla fine del Medio Evo, il convento, generalmente di dimensioni più modeste, meno complesso sul piano architettonico e con funzioni essenzialmente residenziali. Il convento non costituiva più l’intero mondo dei propri dimoranti: gli ospiti (frati o suore) erano membri di ordini regolari (cioè dotati di una propria regola) ma non erano più obbligati a mantenere una vita prevalentemente contemplativa come i monaci, anzi si dedicavano spesso alla vita attiva nel loco circostante, dove assunsero progressivamente ruoli e funzioni principalmente nei servizi religiosi (predicazione, cura pastorale) e sociali (assistenza sociale e sanitaria, scuola).

Il convento, quando erano ormai cadute le ragioni di autodifesa e di riorganizzazione dell’ordine sociale sorte nelle epoche barbariche, non ha più la caratteristica di grande azienda agricola e di centro di una comunità rurale, che le abbazie avevano mutuato dalla villa romana, e non è più neppure il grande centro intellettuale e culturale rappresentato nei cosiddetti secoli bui. La maggiore secolarizzazione dei conventi non impediva, però di mantenere un’autonomia spirituale che permetteva di esercitare un’azione maieutica sul resto della società.

Una delle ragioni del successo della cosiddetta medicina conventuale è probabilmente da ricercare nell’autosufficienza delle strutture conventuali, impostate sul concetto di clausura, che contribuì a ridare importanza alla funzionalità del lavoro manuale offrendo, di fatto, tutta una serie di supporti logistici. La preparazione in proprio di tutto il necessario portò non solo ad organizzare orti e piccole manifatture, ma anche a predisporre infermerie, di cui beneficiarono ben presto anche le popolazioni residenti nelle zone limitrofe, oltre ai monaci malati che venivano alloggiati in ambienti separati, onde poterli dispensare da alcuni obblighi connessi alle prescrizioni della quaresima o della vigilia (ma la cosa che più colpisce oggi, è l’autorizzazione a lavarsi più frequentemente).




Posted on: 2021/09/29, by :