“Strappi. Tra violenza e indifferenza”, al cuore delle nostre coscienze
di Tiziana Bonomo|
|Si è inaugurata al Mastio della Cittadella di Torino la mostra fotografica “Strappi. Tra violenza e indifferenza”, curata da Tiziana Bonomo, autrice dell’articolo. La mostra, che resterà aperta fino al 6 gennaio 2022, inaugura il percorso triennale in vista della celebrazione, a Torino, del Centenario della Fondazione dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia (A.N.Art.I.) con il sostegno della Regione Piemonte.
“Più volte mi sono posta la domanda sul significato di fare una mostra impegnativa come “Strappi. Tra violenza e indifferenza”. E per rispondere ho dovuto mettere insieme più pensieri. Se la fotografia è la mia finestra sul mondo allora è il linguaggio che più mette a fuoco la mia voglia di conoscere e di capire alcuni argomenti. Uno di questi è quello sulla violenza: un tema terribilmente attuale. L’incalzante parola che oramai riempie le pagine di tutti i quotidiani mi ha spinto a cercare le cause della violenza. Dai racconti di alcuni fotoreporter in parti diverse del mondo sono venuta a conoscenza di storie al limite del reale. Situazioni alle quali spesso si reagisce con indifferenza.
Ecco allora che la forza narrativa emotiva della fotografia si svela come un veicolo visivo di comunicazione coinvolgente proprio per la sua immediatezza ed intensità narrativa. È la cultura che viene in aiuto nella sua missione di ricordare – attraverso il suo valore sociale ed educativo – le situazioni dimenticate o addirittura sconosciute. È la cultura che, quando il tema trattato è così difficile ci permette di affrontarlo e di farlo con credibilità. Impegnativa? Sì, perché ci vuole impegno per far crescere il livello di consapevolezza e di responsabilità.
Sono da condividere appieno le affermazioni di due grandi artisti come Jimmie Durham: fare arte che ci incoraggi. O come Joseph Beuys: un rapporto continuo tra essere umano e Natura, ecologia, Pace, arte inteso come impegno sociale e ricerca spirituale. La mia responsabilità è quella di presentare il lavoro coraggioso di fotoreporter per restituirne il vero significato che va oltre all’estetica, va oltre ai premi e si ferma lì davanti ad una umanità ferita dalla violenza a cui sono state strappate dignità, vita, abitazione, famiglia, speranza. E se l’impegno è ammirare stupende fotografie di affermati reporter nel mondo allora l’impegno si trasforma in un piacere per gli occhi e per lo spirito.”
I fotografi presenti in mostra sono Alfredo Bosco, Derek Hudson, Karl Mancini, Fabio Polese, Ivo Saglietti, Laura Secci, Chloe Sharrock, Francesca Tosarelli, Roberto Travan, Mattia Velati. Le fotografie sono il frutto di una ricerca e di una selezione fatta da progetti di reportage molto estesi, lavori a lungo termine in luoghi e situazioni diverse: dal Sud America al Medio Oriente, dal Messico al Myanmar, dal Congo allo Yemen.
Il noto fotografo Ivo Saglietti, da oltre un decennio segue puntualmente, a Potočari, la cerimonia di restituzione e riconoscimento delle vittime del genocidio di Srebrenica e ci mostra cosa significa convivere con le conseguenze di un genocidio. L’esodo di popolazioni perseguitate continua ad essere simile a quello documentato da Derek Hudson durante la fuga degli hutu dai tutsi e nei suoi drammatici bianchi e neri ci fa capire cosa sono costrette a vivere queste persone. L’integralismo rischia di annientare la bellezza di un popolo e di un paese come quello yemenita, così magnificamente raccontato da Mattia Velati. Laura Secci ci svela la sua esperienza in Afghanistan all’interno della missione ISAF (International Security Assistance Force).
Un’altra giovane reporter Francesca Tosarelli, oggi diventata video maker ha deciso di riprendere – nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo – le donne, stanche di subire violenza, che combattono all’interno di gruppi ribelli. Il dolore, che anni di guerra procurano ai civili – continui strappi – è immediatamente tangibile nelle immagini in Nagorno Karabakh di Roberto Travan. La resistenza dei giovani, considerati ribelli, che lottano per la libertà in Myanmar è una silente denuncia che Fabio Polese è riuscito a documentare come unico reporter italiano.
Estado de Guerrero – il racconto visivo eseguito da Alfredo Bosco tra il 2018 e il 2019 a Guerrero in Messico – denuncia come la violenza, causata dal narcotraffico, trasforma villaggi, città, persone, bambini. Il lavoro di Karl Mancini (nella foto in alto Vivir para contarlo), sui femminicidi in America Latina, denuncia quanto le donne siano vittime di violenze inimmaginabili. Lo sguardo della ventinovenne Chloe Sharrock, con la sua personale sensibilità per i diritti delle donne, si è concentrato in questi ultimi tre anni, su Raqqa e sul campo di prigionia di Al-Hawl nel nord della Siria. Ogni progetto esposto rappresenta simbolicamente una delle cause che scatenano la violenza: traffico di droga, integralismo, corruzione, maschilismo, potere.
La narrazione di Domenico Quirico, voce autorevole del quotidiano La Stampa, da sempre testimone della violenza nel mondo, spiega il concetto di “strappo” accompagnando la mostra con la sua introduzione e con le sue parole: “Cosa è uno strappo? Non è solo orrore, è – più in fondo dei sentimenti usuali che suscita in noi la sciagura – la paradossale gioia dei disastri, quando si sente che ogni speranza rimasta consiste nell’andare a fondo. Si sente un odore di angoscia, diffuso ovunque, l’angoscia che ti spinge via da te stesso. Lo strappo è non riuscire ad ammetterla, questa angoscia, né a trovarvi riposo. Ti disprezzi come se ti sentissi colpevole, proprio tu che hai subito. È allora che le vittime di violenze rivolgono al cielo inaudite domande. È questo insopportabile strappo che questa mostra vuole svelare.”
Posted on: 2021/12/06, by : admin