Suicidio assistito ed eutanasia: una riflessione bioetica

di Enrico Larghero|

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Con l’intervento del prof. Enrico Larghero, medico e teologo morale, autore di numerose pubblicazioni, ultima “La medicina narrativa. I presupposti, le applicazioni, le prospettive”, la Porta di Vetro prosegue il dibattito in tema di suicidio assistito ed eutanasia avviato con gli articoli di Chiara Laura Riccardo (“Suicidio assistito e fine vita: la centralità degli hospice” in https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/04/model_-riccardo.pdf; Suicidio assistito: il dilemma etico e morale di una proposta di legge in https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/01/model_-riccardo.pdf; Suicidio assistito: ritardi legislativi inaccettabili in https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/06/model_riccardo.pdf) e di Tiziana Bonomo (L’obiettivo di Sergio Ramazzotti sul suicidio assistito in https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/02/model_-bonomo.pdf)

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Nel XXI secolo, l’evolversi della scienza medica verso forme di pratica sempre più caratterizzate dalla tecnica, con la medicalizzazione della vita, si è imposto come pressante il dibattito etico-giuridico sul suicidio assistito e sull’eutanasia. La questione non è nuova, ma ha radici antiche. Francis Bacon, filosofo e giurista inglese vissuto a cavallo tra il XVI e XVII secolo, affermava in De dignitate et augmentis scientiarum che i medici “in conformità al loro dovere e al rispetto dell’umanità stessa, dovrebbero applicare la loro arte e il loro zelo a che i moribondi si congedino dalla vita in modo più semplice e più dolce”. Egli intendeva aiuto a morire rivolto all’anima e al corpo. Dopo l’applicazione delle teorie illuministiche, in cui l’individuo è autonomo e possiede libertà decisionale che consente di teorizzare la “vita senza valore” e il progresso delle scienze e delle tecniche, che ha determinato maggiormente la possibilità di intervento sulla vita, si è giunti alla definizione odierna di suicidio assistito e di eutanasia, che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore.

Autonomia del singolo e nuovi scenari

Oggi, più che mai si sta diffondendo la mentalità favorevole a tali pratiche, in quanto si è avuta una progressiva secolarizzazione del pensiero e, inoltre, si è più che mai consolidato il principio di autonomia del singolo. Si è così passati nel rapporto medico-paziente dall’etica ippocratica, diretta ad alleviare le sofferenze a beneficio del paziente, all’etica individualistica e alla libertà incondizionata dell’individuo. Esiste una oggettiva difficoltà nel ratificare delle norme che abbiano la capacità di mediare tra i valori morali, i criteri medici e l’esistenza umana nelle sue fasi di cronicità o cosiddetta terminalità. Durante il Corso di Laurea in Medicina dopo i primi anni fondativi si entra nel mondo della clinica. Uno dei capisaldi che vengono insegnati agli studenti è l’adagio: “vi sono i malati e non le malattie”. Ciò significa che ogni patologia si manifesta con delle sue precipue particolarità nelle persone le quali, a loro volta, elaborano la malattia in modo diverso a seconda del momento storico e della loro condizione. Oggi si sono aperti nuovi scenari, un tempo inimmaginabili, che pongono in essere questioni di senso per le quali non vi può essere un’unica interpretazione. Ciò vale in modo particolare per quelle vicende emblematiche (ed enfatizzate dai media), quali Piergiorgio Welby, Eluana Englaro, Dj Fabo ed i recentissimi Mario e Fabio Ridolfi. In ogni nazione occidentale si possono trovare storie simili a queste. A conferma di quanto tali realtà siano complesse e divisive, lo dimostra il fatto che nel mondo i Paesi hanno legiferato in tema di eutanasia e suicidio assistito si possono contare sulle dita della mano.

Una questione antropologica

Non è pertanto una questione ideologica, religiosa o politica. È principalmente una questione antropologica. A ciò si aggiunge un concetto, ovvero quello del “pendio scivoloso”, cioè del rischio che normando tali situazione si corra il rischio di non tutelare più la fragilità. Di fronte a tali situazioni drammatiche che coinvolgono anche l’opinione pubblica credo sia giusto sospendere il giudizio. Sulla scelta di ciascun malato, condivisa da familiari e amici, non si può entrare, ma restare sulla soglia, muoversi n punta di piedi. Personalmente ritengo tuttavia che la riflessione dovrebbe andare oltre, far riflettere su nuovi paradigmi, sulla riforma di un Sistema Sanitario e sulla rifondazione del rapporto tra medico e paziente. Ciò che si deve evitare, e tale atteggiamento è condivisibile da tutti, sono l’accanimento terapeutico e la cosiddetta medicina difensiva. Elevare la medicina a scienza, rinnegando la sua componente umanistica, di arte, significa alimentare l’illusione di una disciplina riparatoria che aggiusta gli organi che si guastano secondo l’antico insegnamento cartesiano.

Evitiamo di percorrere la strada della contrapposizione

La strada maestra alla quale si deve lavorare è rappresentata dalla “desistenza terapeutica”, come testimoniano numerosi documenti in area critica e cure palliative. Gli ultimi devastanti anni con la pandemia prima e la guerra poi hanno travolto il mondo, hanno reso tutti più fragili, impauriti. Tuttavia possono costituire l’occasione per una riappropriazione collettiva della finitudine e, come ricordava il filosofo tedesco Martin Heidegger, del nostro “essere per la morte”. La vera strada da intraprendere non è quella della contrapposizione, che si ferma al singolo caso, ma, attraverso un approccio bioetico, affrontare il problema nel suo insieme. Altrimenti cadiamo nell’errore già indicato dall’antico proverbio cinese: “Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Il vero problema del suicidio assistito e dell’eutanasia, a mio parere, consiste proprio in un atteggiamento che parte dal singolo caso, ma elabora concetti più generali che attengono alla vita, alla morte, alla prospettiva di senso




Posted on: 2022/06/28, by :