Sulla chiusura delle scuole polemiche inutili e fumose

di Sandro D’Ambrosio|

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Oggi in tutto il Paese si celebra la I giornata nazionale in memoria delle vittime della pandemia. I contagi da Coronavirus non accennano a scemare: ieri sono stati 23mila. Cifre dinanzi alle quali è bene fare un bagno di umiltà prima di sollevare polveroni attorno ai provvedimenti che rischiano di provocare soltanto confusione nei cittadini. Le polemiche sulla chiusura delle scuole purtroppo sembrano andare in questa direzione.

Una nuova ondata di contagi, nuove chiusure e nuove polemiche. Ciascuna della categorie interessate ha le sue ragioni. Dai ristoratori e gestori degli impianti di sci ai negozi non di prima necessità ed altre ancora, ciascuna categoria espone le sue proteste e le proprie ragioni per cui avrebbe dovuto essere esclusa in quanto, prese le dovute misure, non sarebbe stata un’attività più a rischio di altre rimaste invece aperte. Ma nel mirino è finita anche la scuola. Un provvedimento che ha provocato una scia di accese polemiche. Stupisce che ad alimentarle siano anche illustri intellettuali, accademici, sociologi, come se la decisione governativa sia frutto di disattenzione, sottovalutazione o cos’altro. Su una cosa sono tutti d’accordo: la scuola è l’ultima delle attività che deve chiudere, e così e stato.

Se è vero che la politica cerca prima di ogni altra cosa il consenso, talora anche a scapito del “bene comune” cosa spinge il decisore politico, Governo, Ministro, a prendere una decisione così impopolare, che ricade pesantemente su studenti, famiglie, lavoratori? Non fa riflettere che le scuole siano state chiuse anche negli altri paesi europei? Ha ancora senso contare i giorni di chiusura per dimostrare che l’Italia è in cima alla lista? Si sostiene: la scuola è un luogo sicuro ed i contagi avvengono al suo esterno. Quest’affermazione però non è dimostrabile; semmai lo è il suo contrario. Sono ormai numerosi i casi di contagio di studenti asintomatici che hanno portato il virus in famiglia ed, inoltre, con le nuove varianti anche molti giovani contraggono l’infezione con i suoi sintomi, anche se, per fortuna quasi sempre in forma più lieve.

A scuola, 25/30 studenti sono dentro un ambiente chiuso per quattro o cinque ore ed anche se tutti rispettassero rigorosamente le norme di prevenzione non è possibile garantire il rischio zero. I rischi maggiori tuttavia sono all’esterno, sui trasporti, all’ingresso e all’uscita, dove è inevitabile vi siano assembramenti anche non volendo, anche prevedendo entrate ed uscite separate. Vi sono istituti con migliaia di studenti, dove le misure di precauzione sono difficili da realizzare. Dopo ore di immobilità, i ragazzi hanno voglia di correre di sentirsi finalmente liberi, magari anche di togliersi la mascherina. Basta passare davanti ad un istituto al momento giusto per vederlo con i propri occhi.

Per non parlare dei più piccoli verso i quali non sono praticabili e nemmeno auspicabili troppe restrizioni e vere e proprie coercizioni fisiche. Non sono rari, inoltre, assembramenti degli stessi genitori davanti alle scuole materne ed elementari che, in attesa dei lori figli, si scambiano qualche parola, talvolta anche senza mascherina. Né vale la considerazione che se i ragazzi più grandi non vanno a scuola, vanno a prendere gli aperitivi in gruppo e si contagiano ancora di più. Prima di tutto sarebbe una responsabilità tutta loro e semmai delle loro famiglie e non della scuola come istituzione; in secondo luogo non è pensabile che tali aperitivi si svolgano in venti o trenta alla volta, cioè con tutta la classe al completo.

Se la scuola chiude si presume sia necessario, si presume che i dati ed i pareri degli scienziati cui è affidato il compito di vigilare sulla situazione lo rendano necessario e si presume che il decisore politico si assuma questa responsabilità perché, suo malgrado (inevitabile perdita di consenso), teme di essere in futuro accusato e responsabile di conseguenze peggiori. Non si tratta di essere più o meno filogovernativi, si tratta di guardare una realtà che diventa ogni giorno più drammatica (negli ultimi sette giorni una media di 22mila contagi quotidiani). Né sembrano utili le polemiche di quei politici che attendono le decisioni per sostenere che sono inutili e vessatorie o che sono insufficienti, a giorni alterni.

Chiudere le scuole è un danno per la società, per le famiglie e per gli studenti. Molti si sono interrogati sulle conseguenze future. Qualcuno immagina danni permanenti nello sviluppo della personalità dei giovani. Qualcun altro è arrivato a calcolare, nella perdita di qualche punto percentuale di PIL per gli anni futuri, il danno di un anno scolastico ormai pregiudicato. Sono indubbiamente esagerazioni per fare qualche titolo di giornale. Anche se i danni ci sono realmente. La didattica a distanza non è come la scuola in presenza, non raggiunge tutti: zone senza connessione, mancanza di dispositivi (anche se qualcosa su questo versante è stato fatto). Il danno realmente grave ed irreversibile riguarda invece quella parte non insignificante di studenti a rischio dispersione, che in questo contesto ritrovano una ragione in più di abbandono. In questo senso sembra giusto tenere le scuole aperte per le situazione di disagio, magari anche con contatti personalizzati e condotti in modo da non apparire discriminatori: incontri periodici per piccoli gruppi, ecc.

Nella speranza che la riapertura delle scuole avvenga il più presto possibile, le ipotesi di un prolungamento dell’anno scolastico (pandemia permettendo) e anche di un anticipo di quello futuro sembrano ragionevoli per restituire un po’ del tempo-scuola e della socialità sottratti ai nostri ragazzi. Le obiezioni contrarie a tale prospettiva non appaiono convincenti (fa caldo, tanto non verrebbe nessuno, le famiglie hanno diritto alle vacanze…). Per non dire di peggio.




Posted on: 2021/03/18, by :