Sulle orme degli astensionisti

di Emanuele Davide Ruffino|

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A tutti è venuta la voglia di non andare a votare, ma in molti è prevalso il senso di dovere civico di andarci lo stesso. Oggi però la maggioranza è di astenuti e quindi occorre interrogarci sulla voglia di astenerci che c’è in ognuno di noi e, partendo da questo preambolo, definire qual è l’identikit di chi non va a votare.

Sicuramente la politica dell’oggi offre meno appeal di quella del passato, quella del Novecento, per intenderci. Le ragioni sono molteplici e non è questa la sede ideale per aprire un dibattito che vorremmo invece spostare sulle categorie degli astensionisti. Sì, perché l’astensionista è di vario genere. Anche se poi, sotto sotto, tutti in comune l’idea che di quel diritto, costato lutti e sacrifici, si possa fare anche a meno.

Nel definire la classificazione dell’astensionista, la prima tipologia in ordine cronologico è quella dell’intellettuale snob che, per distinguersi dalla massa, critica i politici di tutti le parti e di tutti i tempi e non ha tempo da perdere nelle code ai seggi (figuriamoci nei periodi di pandemia, dove il maleducato che non rispetta la distanza di sicurezza c’è sempre). Diretta derivazione sono i “no-aqualunquecosa”, sicuramente legittimati ad esprimere il loro dissenso, ma non altrettanto attivi nel progettare soluzioni alternative credibili.

Molti astenuti sono sicuramenti dei “malpancisti”, quelli che si lamentano di tutto e di tutti e che si ritrovano nei bar e sulle spiagge a lamentarsi di quanto è brutta la loro vita per colpa dei politici e delle loro scelte sbagliate e, come per la nazionale di calcio, di come loro avrebbero saputo fare meglio. Ciò prima della vittoria azzurra agli Europei, naturalmente.

Anche in politica si può parlare di un “analfabetismo di ritorno”, cioè di persone che, non esercitandosi nella lettura (o nell’approfondimento dei temi politici) di fatto non riescono più a leggere e a comprendere i fenomeni politico-sociali, auto-scusandosi dicendo che, in fin dei conti, sono tutti uguali. Vi sono poi quelli cui una cultura rivendicativa li ha portati a pretendere l’impossibile e, non vedendo riconosciute tutte le loro aspirazioni si scagliano contro il sistema: per essere più corretti, la preoccupazione cresce allorquando ci si rende conto che il raggiungimento della rivendicazione di un gruppo compromette (o esclude) pretese analoghe ad altri gruppi. E se, fino a questa presa di coscienza, si registrava una sostanziale solidarietà tra i contestatori, quando una rivendicazione porta ad escludere le altre, allora il meccanismo s’interrompe e genera una sfiducia generalizzata verso le promesse elettorali troppo belle per essere vere.

Rientrano in questa categoria i “reduci” delle promesse individuali e/o personalizzate: cioè quelli che sono stati illusi dall’ottenere un determinato vantaggio nel votare un candidato dispensatore di piaceri. Nella Napoli del Secondo dopoguerra era conosciuta la pratica di distribuire la scarpa destra e poi, solo a risultato acquisito, veniva distribuita anche la sinistra. Nel corso degli anni, tale pratica si è sviluppata e raffinata su tutto il territorio nazionale generando sempre più astensionisti, sia tra quelli disillusi, sia tra quelli che hanno visto soddisfare i loro desiderata. Questi ultimi, dal momento che la riconoscenza non è di questo mondo, finiscono poi per vergognarsi dell’accaduto persino di conoscere il benefattore, fino al punto di non recarsi neppure più alle urne per non destare sospetti.




Posted on: 2021/10/05, by :