Tasse e politica: senso civico modesto, immoralità dilagante
di Mauro Nebiolo Vietti |
|Ho letto e condivido le preoccupazioni di Anna Paschero sul progetto di riforma del catasto e il suo successivo intervento sulla indennità ai sindaci1. Il suo è un ragionamento corretto, ma non si è tenuto conto del presupposto. I tentativi (sporadici ed incompleti) di combattere l’evasione fiscale hanno visto alcuni esponenti politici ostacolare le proposte, ma da parte degli altri partiti si è assistito ad un imbarazzato silenzio.
Il sociologo Fortini scriveva che i partiti hanno la funzione di trasformare in interesse collettivo una somma di interessi individuali (e lo ricordo sovente negli interventi su questo sito), ma Fortini elevava questo concetto ai piani aulici, senza rendersi conto che esso vale anche sotto la cintura ed è forse quello che sta avvenendo da qualche anno.
Quando è all’esame del governo una proposta finalizzata a ridurre l’evasione, c’è sempre il Salvini o il Berlusconi di turno, come di recente, che punta ad autosegnalare agli evasori la sua figura di referente protettore. E fin qui nulla di strano. È invece singolare che da parte delle altre forze politiche non vi sia uno sforzo per difendere le misure proposte ed allora occorre domandarsi perché ciò avvenga.
Il problema è che le grida di memoria manzoniana di Salvini o di Berlusconi (cito i due esponenti del centrodestra non per faziosità, ma perché i più attivi e solerti nell’ergersi a difesa della riduzione delle tasse e indifferenti o quasi all’evasione fiscale) solleticano una così gran parte dell’elettorato da rendere timidi gli altri leader e si tratta di una timidezza che nasconde la paura di perdere voti.
Ma se siamo a questo punto, sono/siamo così tanti gli evasori? La risposta è che lo siamo quasi tutti (il “quasi” si spiega perché tenderei ad escludere qualche eremita e qualche padre missionario); quelli che incassano in contanti rappresentano la massima espressione dell’evasore, ma lo sono anche quelli che le tasse le pagano fino all’ultimo euro, ma preferiscono non avere la fattura dell’idraulico o del falegname.
Forse a qualcuno la conclusione parrà eccessiva, ma c’è una cartina di tornasole che conferma la tesi. Quando Monti andò al governo, sviluppò una fase iniziale di lotta all’evasione e, presentando una propria lista alle elezioni del 2013, impostò la campagna elettorale sulla promessa di combatterla. Visto il suo precedente comportamento, c’è da credere che fosse una proposta seria, così seria che gli italiani si preoccuparono e non lo votarono; alla fine portò a casa una manciata di deputati e nel giro successivo d lui non se ne sentì più parlare.
Ad un certo punto Conte, che all’inizio dell’attività politica era ancora un apprendista stregone e non aveva capito certe logiche, dichiarò che l’evasione fiscale era immorale e propose alcune misure; i quotidiani riportarono la cronaca delle visite che egli ricevette prima da Salvini e poi da Di Maio e, ad ogni visita, una dei progetti veniva ritirato; alla fine gli lasciarono solo la lotteria degli scontrini con cui giocare… L’evasione fiscale non si combatte con i provvedimenti normativi, che in ogni caso saranno più dimostrativi che efficaci, ma solo con la riprovazione sociale che emargini l’evasore.
Come accadde per esempio in Svizzera (paese a maggioranza di religione protestante) alcuni decenni fa, dove gli evasori furono segnalati pubblicamente e quasi additati al ludibrio delle folle. Fu un’operazione d’immagine (per le autorità) che ebbe come risvolto più di un psicodramma (individuale e collettivo) per il senso di vergogna generato. Il che costrinse il fisco elvetico ad allentare la morsa, ma soltanto su piano dell’informazione diffusa. Un rischio, sia chiaro, che l’Italia al momento non corre…
Ma per costruire un livello di riprovazione sociale occorre una lunga e operosa opera di sensibilizzazione che coinvolga i canali di comunicazione, gli atteggiamenti dei politici e l’opera che ciascuno di noi può fare. Altresì è necessario essere consapevoli che per ottenere un buon risultato ci vorrà più di una generazione, ma se riusciremo ad avviare il meccanismo i progressi, inizialmente lenti, avranno dei recuperi esponenziali. Basti pensare al salto che c’è stato in tema di sensibilità e rispetto dell’ambiente, della natura e degli animali, sensibilità praticamente inesistente nella generazione del dopoguerra, ma cresciuta con noi e sposata con grande convinzione dai nostri figli.
Quando i nostri figli o nipoti si convinceranno che a cena non si invitano solo gli spacciatori di droga, ma anche gli evasori fiscali, avremo vinto.
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Il sociologo Fortini scriveva che i partiti hanno la funzione di trasformare in interesse collettivo una somma di interessi individuali (e lo ricordo sovente negli interventi su questo sito), ma Fortini elevava questo concetto ai piani aulici, senza rendersi conto che esso vale anche sotto la cintura ed è forse quello che sta avvenendo da qualche anno.
Quando è all’esame del governo una proposta finalizzata a ridurre l’evasione, c’è sempre il Salvini o il Berlusconi di turno, come di recente, che punta ad autosegnalare agli evasori la sua figura di referente protettore. E fin qui nulla di strano. È invece singolare che da parte delle altre forze politiche non vi sia uno sforzo per difendere le misure proposte ed allora occorre domandarsi perché ciò avvenga.
Il problema è che le grida di memoria manzoniana di Salvini o di Berlusconi (cito i due esponenti del centrodestra non per faziosità, ma perché i più attivi e solerti nell’ergersi a difesa della riduzione delle tasse e indifferenti o quasi all’evasione fiscale) solleticano una così gran parte dell’elettorato da rendere timidi gli altri leader e si tratta di una timidezza che nasconde la paura di perdere voti.
Ma se siamo a questo punto, sono/siamo così tanti gli evasori? La risposta è che lo siamo quasi tutti (il “quasi” si spiega perché tenderei ad escludere qualche eremita e qualche padre missionario); quelli che incassano in contanti rappresentano la massima espressione dell’evasore, ma lo sono anche quelli che le tasse le pagano fino all’ultimo euro, ma preferiscono non avere la fattura dell’idraulico o del falegname.
Forse a qualcuno la conclusione parrà eccessiva, ma c’è una cartina di tornasole che conferma la tesi. Quando Monti andò al governo, sviluppò una fase iniziale di lotta all’evasione e, presentando una propria lista alle elezioni del 2013, impostò la campagna elettorale sulla promessa di combatterla. Visto il suo precedente comportamento, c’è da credere che fosse una proposta seria, così seria che gli italiani si preoccuparono e non lo votarono; alla fine portò a casa una manciata di deputati e nel giro successivo d lui non se ne sentì più parlare.
Ad un certo punto Conte, che all’inizio dell’attività politica era ancora un apprendista stregone e non aveva capito certe logiche, dichiarò che l’evasione fiscale era immorale e propose alcune misure; i quotidiani riportarono la cronaca delle visite che egli ricevette prima da Salvini e poi da Di Maio e, ad ogni visita, una dei progetti veniva ritirato; alla fine gli lasciarono solo la lotteria degli scontrini con cui giocare… L’evasione fiscale non si combatte con i provvedimenti normativi, che in ogni caso saranno più dimostrativi che efficaci, ma solo con la riprovazione sociale che emargini l’evasore.
Come accadde per esempio in Svizzera (paese a maggioranza di religione protestante) alcuni decenni fa, dove gli evasori furono segnalati pubblicamente e quasi additati al ludibrio delle folle. Fu un’operazione d’immagine (per le autorità) che ebbe come risvolto più di un psicodramma (individuale e collettivo) per il senso di vergogna generato. Il che costrinse il fisco elvetico ad allentare la morsa, ma soltanto su piano dell’informazione diffusa. Un rischio, sia chiaro, che l’Italia al momento non corre…
Ma per costruire un livello di riprovazione sociale occorre una lunga e operosa opera di sensibilizzazione che coinvolga i canali di comunicazione, gli atteggiamenti dei politici e l’opera che ciascuno di noi può fare. Altresì è necessario essere consapevoli che per ottenere un buon risultato ci vorrà più di una generazione, ma se riusciremo ad avviare il meccanismo i progressi, inizialmente lenti, avranno dei recuperi esponenziali. Basti pensare al salto che c’è stato in tema di sensibilità e rispetto dell’ambiente, della natura e degli animali, sensibilità praticamente inesistente nella generazione del dopoguerra, ma cresciuta con noi e sposata con grande convinzione dai nostri figli.
Quando i nostri figli o nipoti si convinceranno che a cena non si invitano solo gli spacciatori di droga, ma anche gli evasori fiscali, avremo vinto.
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