Taxi, taxi, il mio amore è finito lì…, la canzone del ministro Di Maio

di Menandro|

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Taxi taxi
il mio amore è finito lì
taxi taxi è finito quel lunedì
io son tornato ancor
in quella strada
per incontrare lei
per incontrare lei
e alla fine di quella strada
era la fine di quell’amor


Era il 1970, quando Antoine (al secolo Pierre Antoine Muraccioli) e Anna Identici cantavano al Festival di Sanremo il brano Taxi1. Fu un sprazzo di allegria che attraversò rapidamente la penisola toccata mesi prima, il 12 dicembre del 1969, dai morti di piazza Fontana, la strage fascista della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Ma la canzone era un plagio, identica a Valzer brillante, canzone del 1948 di Maria Pia Donati Minelli. E il Tribunale riconobbe le ragioni del querelante. Purtroppo, in questa Italia dell’assurdo, non ci sarà nessun tribunale che condannerà per plagio il signor Luigi Di Maio. Giustamente, aggiungiamo. Non vi sono le condizioni di una denuncia.

Ma che cosa c’entra Di Maio con Antoine e Anna Identici, ci si chiederà? In effetti, nulla o quasi. Però c’entra con i taxi della politica. Proviamo a spiegarci. Chi per primo disse “uso i partiti allo stesso modo di come uso i taxi” non ha mai depositata la frase alla Siae, la società diritti d’autore. Non ne ebbe il tempo. Ma avrebbe dovuto farlo, per il bene dell’Italia, se non altro per mettere un freno alle corse sui taxi della politica di emulatori, tanti, troppi, copie mai pari all’originale.

L’autore, il signor Enrico Mattei, comandante partigiano, democristiano, salvatore dell’Agip e costruttore dell’Eni, l’uomo che sfidò le Sette sorelle petrolifere, è morto il 27 ottobre del 1962, mezzo secolo fa. Presto ne ricorderemo la figura di quell’uomo coraggioso, d’ingegno personale, che al sorriso prêt à porter, stampato in faccia come una maschera servile di moda nei talk show, preferiva conservare nelle occasioni pubbliche il viso severo della serietà. Schiena diritta, Mattei era sceso in piazza il giorno della Liberazione per sfilare con i volontari della Libertà. Quelle stesse piazze che nel terzo millennio sarebbero state occupate dai narcisisti del “vaffa”, i coraggiosi della trivialità in regime democratico…

Il signor Di Maio era tra loro, in prima fila, schiettamente interessato a sostenere che “uno vale uno”, passaporto necessario per partecipare alla ruota della fortuna senza selezione, senza esperienza, senza fatica se non quella d’urlo e dei polmoni gonfiati a dismisura, con le vene del collo lì per lì per scoppiare a perfetta imitazione del comico-guru, in una gara a chi produce il suono migliore del “vaffa”, prova d’esame per entrare nei consigli comunali, regionali, in Parlamento, nel governo.

Ora, il signor Luigi Di Maio ha cambiato idea. Nulla di grave: cambiare idea, nel Parlamento italiano come nel nostro Paese, è una sorta di sport nazionale. Infatti, Di Maio ha abiurato all’idea forte dei Cinque Stelle che “uno vale uno”. Evidentemente, lo ritiene poco consono a un ministro degli Esteri. E pare essere in buona compagnia. Fatto sta che ieri si , è dimesso dal suo Movimento. Di conseguenza, potrà ripartire anche da zero, senza l’onere di abiurare all’altro potente dogma dei grillini: la non eleggibilità dopo due mandati.

Taxi, taxi, l’amore di Di Maio è proprio finito. Da oggi, la politica ha il suo nuovo Uber, taxi in proprio con licenza di portare in giro altri sessanta parlamentari… Staranno tutti un po’ stretti, ma si tratta di resistere meno di un anno. Alle prossime elezioni i più dovranno scendere e se non fa attenzione, se non sceglierà bene l’itinerario politico, anche Uber-Di Maio potrebbe rimanere a piedi: anche per scendere e salire dai taxi dei partiti, per quanto non più quelli della Prima Repubblica, occorre avere ancora un minimo di carisma. Il futuro non si conquista con il nome scontato e appiccicato di corsa ad un nuovo partito. E lui non è Mattei.

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