Terza dose e mercato dei vaccini: dal G20 una risposta è doverosa

di Emanuele Davide Ruffino
e Germana Zollesi |

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Che occorrerà procedere con la terza dose per accrescere il livello di protezione di una popolazione è ormai una realtà assodata, ma rimangono ancora da definire alcuni aspetti etici. La maggioranza della popolazione mondiale non ha ancora ricevuto la prima dose e finché la copertura non sarà quasi totale, il rischio di nuove varianti e del riacutizzarsi della pandemia rimarrà elevato. Il G20 ha preso coscienza che per rilanciare l’economia è necessario vaccinare almeno il 40% della popolazione del mondo entro il 2021 e almeno il 70% entro il 2022.

Le regole che governano il mercato dei farmaci continuano a rimanere indeterminate e, come di tutte le cose sconosciute, si ha paura, accrescendo il sospetto che vi possano essere interessi di varia natura, tant’è che anche tra le classi acculturate, sono diverse le persone che si rifiutano di vaccinarsi, nonostante gli indubbi vantaggi che ciò produce rispetto ai rischi quasi inesistenti, come ampiamente evidenziato dalle indagini epidemiologiche.

Uno strano modello commerciale

Superata la fase emergenziale diventa inevitabile interrogarsi su come si formano i prezzi dei vaccini. Le operazioni commerciali relative al settore farmaceutico si caratterizzano per una forma di monopsonio (un solo acquirente) sul lato della domanda dei mercati nazionali, contrapposta ad un oligopolio, sul lato dell’offerta che opera a livello planetario. La sottoscrizione di un contratto in condizioni di monopsonio obbliga poi a verificare che i venditori rispettino le condizioni.

Se è ipotizzabile che, forte della sua posizione, il monopsonista possa imporre prezzo e condizioni, è altrettanto vero che necessita di mantenere le forniture in oggetto, rischiando d’invertire la posizione di forza in posizione di debolezza, se si vengono a creare condizioni di urgenza. La mancata consegna dei farmaci nella prima fase della pandemia ha portato ad indugiare su cavilli giuridici (con un conflitto tra Unione Europea e aziende farmaceutiche) per giustificare la grave mancanza di programmazione e di azioni concrete volte a creare le condizioni di sviluppo degli asset essenziali.

Rispetto però ai modelli concettuali proposti dalle scienze economiche, dove la quantità acquistabile di un bene può essere facilmente raggiunta dall’offerta, nel mercato dei vaccini è la domanda che, anche se solo per un lasso limitato di tempo, si è trovata a richiedere molto di più di quello che l’offerta oligopolista poteva offrire (nonostante lo sfruttamento, non proprio etico, attuato in molti paesi del Terzo Mondo, che l’Occidente tende sistematicamente a ignorare e non solo nel settore farmaceutico).

Dal monopolista al monopsonista

Teoricamente nel monopsonio (situazione economica simmetrica rispetto al monopolio), in capo ad un unico acquirente si concentra normalmente un potere contrattuale in grado di determinare il prezzo di scambio del bene o servizio oggetto di trattativa (come il monopolista è vincolato dalla curva di domanda di mercato, un monopsonista nella sua scelta prezzo-quantità è vincolato dalla curva di offerta del mercato).

L’esempio classico per descrivere una situazione di monopsonio fa riferimento al mercato del lavoro, allorché un’impresa si trova ad essere l’unica a richiedere manodopera. Evidente è la disparità di posizioni che si viene a creare tra i due soggetti economici, in quanto la domanda di lavoro, specie quando si opera in una zona economicamente in difficoltà, è decisamente superiore alle possibilità di impiego richieste dall’unica impresa che, di conseguenza, può scegliere chi assumere e, in assenza di norme a tutela del lavoratore, definire il prezzo che massimizza la sua funzione di profitto, generando forme di sfruttamento.

Il mercato dei vaccini rispecchia piuttosto il mercato degli armamenti, in capo a pochi e qualificati produttori, destinati a soddisfare la domanda dello Stato (unico acquirente). Non a caso, industria bellica e farmaceutica, sono i settori che maggiormente finanziano i partiti e i personaggi politici in America (dove i contributi elettorali sono pubblici e conoscibili). Sia nel caso dei medicinali che in quello degli armamenti, l’unico acquirente può trovarsi in condizioni tali per cui la quantità viene imposta dagli eventi: da una situazione di dominanza e supremazia lo Stato acquirente si è trovato a dover richiedere più di quanto i fornitori riuscissero a produrre (e, quindi, in una posizione di debolezza), mentre fatica sempre più ad imporre le corrette applicazioni delle norme igienico-sanitarie (la cui applicazione dipende dal livello culturale, o forse solo di buona educazione, e non dalle criptiche condizioni con cui si commerciano i farmaci).

Un continuo rimescolamento

La pandemia ha rimescolato, su scala planetaria, alcuni riferimenti di mercato: il ruolo dello Stato da detentore del potere politico in grado di disegnare la società in modo da metterla nelle condizioni di rispondere alle proprie esigenze rischia di diventare quello di semplice acquirente, sia pur ancora in una posizione tale da condizionare prezzo e condizioni contrattuali. La valutazione di una classe politica costretta ad operare in condizioni di emergenza non passa solo dalle misure prese nell’immediato, ma nel rimuovere gli ostacoli che rallentano la rapida risoluzione dei problemi. L’essere stati colti impreparati ad affrontare una situazione di crisi dovrebbe indurre a rivedere le filiere produttive, predisponendo dei magazzini virtuali, in grado di rispondere alle potenziali esigenze contingenti: non si può prevedere tutto, ma ci si deve preparare al meglio per affrontare tutto.

In condizioni di normalità, l’acquirente (lo Stato ed oggi il G20), nel decidere quale quantità di un bene acquistare, dovrebbe incrementare il numero di unità fino a quando il valore dell’ultima (valore marginale), risulti uguale al costo dell’unità stessa (spesa marginale). La necessità di raggiungere al più presto un’immunità di gregge ha però obbligato ad incrementare la domanda superando il concetto di utilità marginale del valore dell’ultima dose (che concettualmente dovrebbe corrispondere al costo dell’unità stessa) perché occorre raggiungere un valore soglia che non protegga solo i soggetti cui è stata somministrato il vaccino, ma tutta la popolazione. Ne consegue che la curva di offerta di mercato (generata dalle ditte produttrici) diventi automaticamente la curva di spesa del monopsonista costretto ad adeguarsi. La curva di spesa marginale viene così a posizionarsi sopra la curva di spesa media. Ciò ha portato alcuni Paesi ad acquistare ad un prezzo superiore i vaccini pur di accaparrarsi maggiori quantità (sacrificio sopportato per raggiungere prima l’immunità di gregge) mentre altri Paesi si stanno preparando a produzioni di massa (il primo ministro indiano Narendra Modi al G20 ha dichiarato che il suo Paese, che già oggi produce il 60% dei vaccini, può arrivare a 5 miliardi di dosi nel 2022 in una logica di “un mondo, una sanità”).

Ragionamenti non proprio immediati per i non cultori delle materie economiche, ma che condizionano la vita di ognuno di noi: di qui l’impegno etico che gli Stati e le comunità scientifiche nel farsi carico per accrescere i livelli di trasparenza e rendere il più esplicito possibile il mercato dei farmaci, non tanto per rispettare un dettato normativo, ma perché la credibilità delle regole che lo governano rappresenta un requisito di affidabilità e funzionalità del sistema.




Posted on: 2021/10/31, by :