Tim Page, l’ultimo saluto al “folle” fotoreporter di guerra

di Tiziana Bonomo|

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Tim Page vient de mourir! Il est l’un des mythiques photographes de la guerre du Vietnam ! En 2014 nous avions publié l’article suivant par Alison Stieven Taylor à l’occasion de la sortie de son coffret “21”. Jean-Jacques Naudet pour L’Oeil de La Photographie.

Tim Page uno dei leggendari fotografi della guerra del Vietnam (in alto una sua foto scattata nei pressi di Saigon nel 1965) è morto ieri l’altro nella sua casa di Fernmount, nel Nuovo Galles del Sud, in Australia, all’età di 78 anni. Era affetto da un cancro che l’aveva colpito al fegato e al pancreas.

La lezione di Robert Capa

Nel 2010, il fotoreporter di origine britannica era stato nominato uno dei “100 fotografi più influenti di tutti i tempi” dalla rivista Professional Photographer. Per citare Robert Capa, morto in Vietnam nel 1954 saltando su una mina, “se la tua immagine non è abbastanza buona, non sei abbastanza vicino”. E Tim Page andava vicino, molto vicino, tanto da rimanere ferito ben quattro volte. Per una lunga vita fu l’immortale di Borges anche quando, nel 1969, fu colpito sopra l’occhio destro da una scheggia che gli entrò nel cervello. Fu portato in un ospedale da campo, trasferito a Washington e infine a New York.
Tim Page in una istantanea di Derek Hudson
Una vita non morigerata come accade a molti fotoreporter, Page si guadagnò il rispetto dei soldati sul campo perché era vicino a loro, alla loro età nella polvere, nel fango, nella disperazione. Il merito di Page, che ha pubblicato le sue fotografie e i suoi ricordi in diversi libri, è quello di aver mantenuto viva l’eredità dei colleghi che non sono mai tornati.

Forse per Page vale quanto scriveva Roland Barthes in La Camera Chiara: “Il principio di avventura mi permette di fare esistere la Fotografia”. E per avventura intendeva «quell’agitazione interiore, quel lavorio, quella pressione dell’indicibile che vuole esprimersi».

La triste e commovente notizia della sua morte mi ha spinto istintivamente a rivedere le sue immagini. Da tanti anni seguo la guerra, la violenza nel mondo attraverso le immagini di coraggiosi fotoreporter come Page e attraverso le parole di altrettanti reporter. Arrivo sempre alla stessa conclusione che la guerra procura solamente morte, dolore, sofferenza. La guerra non deve esistere senza ma e senza sé.

Il dolore che guardo nelle fotografie sui volti di feriti, di medici, di soldati, di civili – uomini, donne, bambini – confermano la mia irrevocabile posizione che la guerra deve essere negata. È straziante rendersi conto che l’incontenibile sofferenza procurata dalle guerre di ieri non sia riuscita a frenare l’avanzare delle guerre di oggi.


Il formato “21”, tavolozza, pennello e pittura

I demoni che scatenano la guerra nascono dalla vita di tutti i giorni, dalle nostre scelte, dai nostri comportamenti. Nessun capo di stato dovrebbe obbligare uomini in divisa, militari, alla guerra. Nessun capo di stato dovrebbe alimentare la guerra per vedere uccidere i propri cittadini e tanto meno dovrebbe arrestare chi disapprova la guerra.

I demoni come scrive Dostoevskij sono coloro che spargano il male per portare la società allo stadio primitivo della depravazione, della sofferenza per far scatenare la rivoluzione del risorgimento. Ebbene la guerra non genera nessun risorgimento se non distruzione, afflizione, stanchezza, rovina. Genera violenza, intolleranza fino al totale smarrimento, annientamento.

Alcune parole di Page così inusuali pongono degli interrogativi che ognuno di noi può accogliere come ritiene: “Come fotografo documentarista, incontri lo strano, il bizzarro, l’orrore e la bellezza, nei momenti più strani dei giorni più ordinari. Un’immagine gratifica in modo misterioso e ordinato; di solito vicino e lontano. Sono un pittore frustrato e il ’21’ (il formato 21 mm è stato l’obiettivo preferito da Page per decenni n.d.a.) è diventato la mia tavolozza, il mio pennello e la mia pittura”




Posted on: 2022/08/26, by :