Ultima ratio regum

di Davide Rigallo |

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Che la via del “contenimento sociale” sia l’unico strumento per contrastare il contagio da Covid-19 appare incontrovertibile. Lo dimostra l’assenza di altre soluzioni praticabili (vaccini, terapie efficaci, ecc.) e lo conferma la recentissima esperienza della Cina. Ma se finalità e auspicabili effetti del contenimento sono fuori discussione, legittime preoccupazioni possono essere sollevate circa le sue modalità di applicazione e, soprattutto, sugli impatti sociali che potrebbero avere nella prospettiva di una loro prosecuzione in fasi post-emergenziali.

Intervenendo su “Il Manifesto” del 18 marzo1, il giurista Gaetano Azzariti rileva come i provvedimenti adottati del Governo siano legittimi perché dettati da uno stato eccezionale di necessità, oltre che da un diritto fondamentale come la tutela della salute. Ma si premura di aggiungere, subito dopo, che non lo sarebbero in assenza di pandemia, mettendo in guardia dal pericolo di una loro applicazione nell’ordinaria amministrazione.

In un contributo consegnato alla rete2, l’antropologo Marco Aime, dopo avere ribadito il carattere sacrosanto dei provvedimenti, osserva come una comunità viva e si costruisca sulle relazioni, e non certo sull’isolamento dei suoi componenti. “Quella che stiamo vivendo, prosegue, è una dimensione sconosciuta, che ci costringe a prendere le distanze dagli altri, non a rafforzarle. Leggo oggi che le donazioni di sangue stanno diminuendo e non abbiamo assistito a particolari slanci di solidarietà in questi giorni, che diano il senso della nascita di una vera comunità. Una comunità fondata sul male comune, è destinata a scomparire con le prime, auspicate, guarigioni. È la paura del virus che si traduce nella paura del corpo dell’altro, che può trasmetterlo, conclude Aime, ossia ciò che induce molti a rispettare i divieti, a prendere le distanze nelle file fuori dai supermercati, a fare uso di guanti e mascherine: non un reale senso di solidarietà.

Pur se con approcci diversi, le osservazioni di Azzariti e Aime rimandano a una domanda fondamentale che va oltre gli attuali provvedimenti ma, inevitabilmente, li comprende: quale è il progetto sociale e politico che guida l’azione del governo, delle sue forze politiche e del Parlamento? Perché ciò che inquieta maggiormente, nell’eccezionalità del momento, come nel corso ordinario delle cose, è che da tanto, troppo tempo, la politica nel suo insieme, dagli organi centrali a quelli periferici, sembra avere smarrito la capacità di immaginare un progetto di questo tipo, limitandosi ad amministrare in una dimensione di corto raggio, quasi a vista, con il rischio di farsi travolgere dalle emergenze.

Se è vero che il tempo delle ideologie – e dei loro modelli sociali – è definitivamente trascorso, l’età dei diritti, per usare un’espressione cara a Norberto Bobbio, appare lontana dall’essere tradotta in atto dalle odierne forze politiche. Nelle decisioni prevalgono fattori di altro tipo, sovente emozionali e contingenti: le paure, il consenso, il controllo, la sicurezza. La stessa parola “diritti” non ha avuto praticamente spazio nelle dichiarazioni che hanno accompagnato l’adozione delle misure anti Covid-19, benché, necessariamente, esse ne limitino alcuni (quello della libera circolazione, per esempio). Mentre sono invece circolati, da voci diverse, richiami impropri al “coprifuoco” e a “maniere forti”, toni minacciosi e in alcuni casi di dileggio, insieme a una retorica colpevolistica verso chi, per incoscienza, dolo o forza maggiore (si pensi ai senzatetto), si è trovato a infrangere i divieti stabiliti dal Decreto legge del Governo. Anche la richiesta di un controllo militare delle strade pone dei seri interrogativi.
Ultima ratio regum solevano dire i Romani quando un governo sceglieva di ricorrere all’uso delle legioni per mantenere l’ordine interno: significando, con quest’espressione, tutta la debolezza dello Stato a fare rispettare le proprie norme.



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