Un libro per voi: Adriano Olivetti, “Discorsi di Natale”
di Marco Travaglini|
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S’intitola “Discorsi per il Natale” l’agile e interessante pubblicazione delle Edizioni di Comunità che raccoglie e propone tre testi con gli auguri per le feste di fine anno scritti da Adriano Olivetti. Questi brevi discorsi fotografano tre dei momenti più importanti della storia della fabbrica di Ivrea e rendono, in una mirabile sintesi, il profilo dell’autore a tutti gli effetti tra le figure più singolari e straordinarie del Novecento.
Su questo imprenditore, intellettuale e politico si è scritto molto e le sue idee innovative nel campo delle riforme in senso comunitario sono ancor oggi attualissime e testimoniano la sua capacità visionaria. Adriano Olivetti fu capace di portare l’azienda di famiglia a competere alla pari con i giganti del mercato mondiale della sua epoca, trasformando la città “dalle rosse torri” nella capitale dell’informatica. Il sogno industriale di Adriano Olivetti logicamente mirava al successo e al profitto, ma proponeva anche un progetto sociale che implicava una relazione del tutto nuova e compartecipativa tra l’impresa e le maestranze, tra il datore di lavoro e i dipendenti, oltre a un rapporto qualitativamente alto tra la fabbrica di macchine per scrivere e il Canavese.
Nel primo discorso, datato 24 dicembre 1949, Olivetti racconta i primi anni del dopoguerra per condividere il sollievo e l’orgoglio della compiuta ripresa dell’azienda dopo la difficile esperienza del fascismo e del conflitto mondiale. Nel secondo, sei anni dopo, il 24 dicembre 1955, rievoca quel discorso per ripercorrere i nuovi traguardi della fabbrica che ha ormai assunto una dimensione internazionale, ma non ha mai perso di vista le proprie radici morali, memore degli insegnamenti del fondatore Camillo. E dice, tra le altre cose: “Tutta la mia vita e la mia opera testimoniano anche – io lo spero – la fedeltà a un ammonimento severo che mio padre quando incominciai il mio lavoro ebbe a farmi: “Ricordati” – mi disse – “che la disoccupazione è la malattia mortale della società moderna; perciò ti affido una consegna: devi lottare con ogni mezzo affinché gli operai di questa fabbrica non abbiano a subire il tragico peso dell’ozio forzato, della miseria avvilente che si accompagna alla perdita del lavoro”. Una grande lezione morale che accompagnò il suo agire di imprenditore illuminato.
In questi discorsi di Natale emerge la volontà di ringraziare tutti i lavoratori della fabbrica per la loro partecipazione a qualcosa di più grande, a una comune dimensione di riscatto del lavoro che, per usare le stesse parole di Olivetti, “non si esaurisce semplicemente nell’indice dei profitti”. Nell’ultimo discorso della breve raccolta, pronunciato in occasione del Capodanno del 1957, alla vigilia del cinquantenario della fondazione della Olivetti (ottobre del 1908) l’augurio dell’imprenditore di Ivrea, ormai all’apice del successo, fu quello di non perdere mai di vista, in quel frangente e negli anni a venire, il senso di giustizia e di solidarietà umana che stanno alla base di ogni vero progresso e rappresentano il valore più profondo e ultimo di tutta l’esperienza olivettiana. Vi si legge l’orgoglio per quello che lui stesso definisce “lo spirito della fabbrica” e una potente visione di futuro. Resta, leggendo queste pagine, il rammarico per ciò che potevano essere l’Olivetti, l’industria italiana e il modello sociale del paese se l’utopia di Adriano Olivetti non si fosse spenta dopo la sua improvvisa e tragica morte, nel febbraio del 1960, quando non aveva ancora compiuto sessant’anni.
Posted on: 2020/12/22, by : admin
Su questo imprenditore, intellettuale e politico si è scritto molto e le sue idee innovative nel campo delle riforme in senso comunitario sono ancor oggi attualissime e testimoniano la sua capacità visionaria. Adriano Olivetti fu capace di portare l’azienda di famiglia a competere alla pari con i giganti del mercato mondiale della sua epoca, trasformando la città “dalle rosse torri” nella capitale dell’informatica. Il sogno industriale di Adriano Olivetti logicamente mirava al successo e al profitto, ma proponeva anche un progetto sociale che implicava una relazione del tutto nuova e compartecipativa tra l’impresa e le maestranze, tra il datore di lavoro e i dipendenti, oltre a un rapporto qualitativamente alto tra la fabbrica di macchine per scrivere e il Canavese.
Nel primo discorso, datato 24 dicembre 1949, Olivetti racconta i primi anni del dopoguerra per condividere il sollievo e l’orgoglio della compiuta ripresa dell’azienda dopo la difficile esperienza del fascismo e del conflitto mondiale. Nel secondo, sei anni dopo, il 24 dicembre 1955, rievoca quel discorso per ripercorrere i nuovi traguardi della fabbrica che ha ormai assunto una dimensione internazionale, ma non ha mai perso di vista le proprie radici morali, memore degli insegnamenti del fondatore Camillo. E dice, tra le altre cose: “Tutta la mia vita e la mia opera testimoniano anche – io lo spero – la fedeltà a un ammonimento severo che mio padre quando incominciai il mio lavoro ebbe a farmi: “Ricordati” – mi disse – “che la disoccupazione è la malattia mortale della società moderna; perciò ti affido una consegna: devi lottare con ogni mezzo affinché gli operai di questa fabbrica non abbiano a subire il tragico peso dell’ozio forzato, della miseria avvilente che si accompagna alla perdita del lavoro”. Una grande lezione morale che accompagnò il suo agire di imprenditore illuminato.
In questi discorsi di Natale emerge la volontà di ringraziare tutti i lavoratori della fabbrica per la loro partecipazione a qualcosa di più grande, a una comune dimensione di riscatto del lavoro che, per usare le stesse parole di Olivetti, “non si esaurisce semplicemente nell’indice dei profitti”. Nell’ultimo discorso della breve raccolta, pronunciato in occasione del Capodanno del 1957, alla vigilia del cinquantenario della fondazione della Olivetti (ottobre del 1908) l’augurio dell’imprenditore di Ivrea, ormai all’apice del successo, fu quello di non perdere mai di vista, in quel frangente e negli anni a venire, il senso di giustizia e di solidarietà umana che stanno alla base di ogni vero progresso e rappresentano il valore più profondo e ultimo di tutta l’esperienza olivettiana. Vi si legge l’orgoglio per quello che lui stesso definisce “lo spirito della fabbrica” e una potente visione di futuro. Resta, leggendo queste pagine, il rammarico per ciò che potevano essere l’Olivetti, l’industria italiana e il modello sociale del paese se l’utopia di Adriano Olivetti non si fosse spenta dopo la sua improvvisa e tragica morte, nel febbraio del 1960, quando non aveva ancora compiuto sessant’anni.
Posted on: 2020/12/22, by : admin