Un libro per voi: Il “breviario jugoslavo” di Predrag Matvejević
di Marco Travaglini|
|“I Balcani sono la polveriera d’Europa, ma restano anche il barometro di quello che è l’Europa… Resto convinto che ora che i nazionalisti hanno portato tutti i popoli alla rovina, toccherà a noi salvare il salvabile”. Parole nette e chiare, tratte da uno dei colloqui di Predrag Matvejević con il giornalista Tommaso Di Francesco, pubblicati in “Breviario Jugoslavo”, edito da Manifestolibri. Scrittore e accademico, nato nel 1932 a Mostar da padre russo di Odessa e da madre croata, Matvejević (scomparso a Zagabria il 2 febbraio 2017) amava definirsi jugoslavo. Intellettuale finissimo e dalla scrittura chiara e potente, insegnò letteratura francese all’Università di Zagabria, letterature comparate alla Sorbona di Parigi ed è stato professore ordinario di slavistica all’Università la Sapienza di Roma e al Collège de France. Era una delle menti più lucide e appassionate, europeo dei Balcani fino al midollo.
Il destino terribile della sua Jugoslavia, dissoltasi nel sangue dei conflitti dell’ultima “decade malefica” del ‘900, fu senza dubbio il più grande dolore che avvertì la sua coscienza. E non fece nulla per nasconderlo. In una intervista disse, tra le altre cose, che “la Jugoslavia semplicemente non doveva esistere più, non contava più. E perché non contava? Per loro (Europa e Occidente, ndr) era stato “solo” un Paese non allineato, che poteva rappresentare un equilibrio che conveniva agli uni e agli altri. Troppo al di sopra delle parti. Così questo paese-tampone, questo mondo-tampone è stato azzerato nella percezione dell’Europa occidentale. Eppure finché esistevano questi Paesi non allineati non esisteva nei Paesi arabi il fondamentalismo feroce, non esistevano nell’ex Jugoslavia i nazionalismi micidiali. Era un mondo che veniva dalla subalternità al colonialismo, compresa la ex Jugoslavia sottoposta all’Austria come una parte dell’Italia nel corso della sua storia. Erano paesi che avevano un’esperienza storica comune, aspiravano ad un socialismo diverso. Facevano insieme l’equilibrio del mondo. Finito il non allineamento la Jugoslavia non serviva più. Lasciamola ai suoi demoni, devono aver pensato in Europa e negli Usa, ai demoni del peggior nazionalismo. E’ quello che è stato fatto”. Un j’accuse lucido, duro.
In “Breviario Jugoslavo” i pensieri di Matvejević sul destino e i drammi del suo paese vengono ripercorsi attraverso il lungo rapporto che lo scrittore, autore del fondamentale Breviario mediterraneo, ha avuto con il Manifesto, quotidiano del quale Tommaso Di Francesco è condirettore. Dall’incontro personale con Rossana Rossanda, ai suoi contributi diretti sul giornale, alle tante interviste in occasione della pubblicazione dei suoi preziosi testi, tra cui Tra asilo ed esilio (1998), Il Mediterraneo e l’Europa (1999), Pane nostro (2010). Fino ai tanti colloqui sui difficili momenti della crisi che si consumò nei Balcani: dalla beatificazione del cardinale Stepinac alla proclamazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo nel febbraio 2008, dagli arresti di Milosevic e Karadzic all’incredibile assoluzione del criminale croato Ante Gotovina, fino alla devastante piena del Danubio dell’aprile 2006.
Un libro piccolo nel formato, ma grande nei contenuti e nelle riflessioni che propone. Si legge d’un fiato, ma obbliga quasi subito alla rilettura, al ripensamento di tante vicende che, come molta parte della storia balcanica, parlano non tanto a quei lembi di terra ma all’Europa intera, oggi ancora più di ieri. Quando conobbi Matvejević parlammo a lungo di Mostar, dell’Erzegovina, della storia della città del ponte che unisce le due rive della Neretva. E di quanto era cambiata, delle speranze che non erano morte, delle possibilità che rimanevano per un riscatto della convivenza sul delirio delle divisioni imposte da chi disprezzava la vita badando solo al potere. Era in una certa misura ottimista, l’ottimismo della volontà di un uomo che vedeva nell’Europa una madre che avrebbe ridato ai suoi figli rissosi la giusta collocazione all’interno della grande famiglia del continente. Come qualcuno scrisse, ricordando il suo impegno “l’Europa non era solo il futuro ma la costruzione politica che avrebbe risolto i problemi del passato. E lui insisteva sul fatto che il Mediterraneo e i suoi simboli, come appunto il pane, potevano essere il punto di partenza per una nuova cultura dell’uomo veramente europeo”.
Predrag immaginava e sperava in un Europa ben diversa da quella che erige muri, srotola fili spinati, rifiuta l’altro senza pensare, egoisticamente, che in fondo è solo l’immagine di se stessa e della sua gente con più disperazione, fame e paura.
Posted on: 2021/05/29, by : admin
Il destino terribile della sua Jugoslavia, dissoltasi nel sangue dei conflitti dell’ultima “decade malefica” del ‘900, fu senza dubbio il più grande dolore che avvertì la sua coscienza. E non fece nulla per nasconderlo. In una intervista disse, tra le altre cose, che “la Jugoslavia semplicemente non doveva esistere più, non contava più. E perché non contava? Per loro (Europa e Occidente, ndr) era stato “solo” un Paese non allineato, che poteva rappresentare un equilibrio che conveniva agli uni e agli altri. Troppo al di sopra delle parti. Così questo paese-tampone, questo mondo-tampone è stato azzerato nella percezione dell’Europa occidentale. Eppure finché esistevano questi Paesi non allineati non esisteva nei Paesi arabi il fondamentalismo feroce, non esistevano nell’ex Jugoslavia i nazionalismi micidiali. Era un mondo che veniva dalla subalternità al colonialismo, compresa la ex Jugoslavia sottoposta all’Austria come una parte dell’Italia nel corso della sua storia. Erano paesi che avevano un’esperienza storica comune, aspiravano ad un socialismo diverso. Facevano insieme l’equilibrio del mondo. Finito il non allineamento la Jugoslavia non serviva più. Lasciamola ai suoi demoni, devono aver pensato in Europa e negli Usa, ai demoni del peggior nazionalismo. E’ quello che è stato fatto”. Un j’accuse lucido, duro.
In “Breviario Jugoslavo” i pensieri di Matvejević sul destino e i drammi del suo paese vengono ripercorsi attraverso il lungo rapporto che lo scrittore, autore del fondamentale Breviario mediterraneo, ha avuto con il Manifesto, quotidiano del quale Tommaso Di Francesco è condirettore. Dall’incontro personale con Rossana Rossanda, ai suoi contributi diretti sul giornale, alle tante interviste in occasione della pubblicazione dei suoi preziosi testi, tra cui Tra asilo ed esilio (1998), Il Mediterraneo e l’Europa (1999), Pane nostro (2010). Fino ai tanti colloqui sui difficili momenti della crisi che si consumò nei Balcani: dalla beatificazione del cardinale Stepinac alla proclamazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo nel febbraio 2008, dagli arresti di Milosevic e Karadzic all’incredibile assoluzione del criminale croato Ante Gotovina, fino alla devastante piena del Danubio dell’aprile 2006.
Un libro piccolo nel formato, ma grande nei contenuti e nelle riflessioni che propone. Si legge d’un fiato, ma obbliga quasi subito alla rilettura, al ripensamento di tante vicende che, come molta parte della storia balcanica, parlano non tanto a quei lembi di terra ma all’Europa intera, oggi ancora più di ieri. Quando conobbi Matvejević parlammo a lungo di Mostar, dell’Erzegovina, della storia della città del ponte che unisce le due rive della Neretva. E di quanto era cambiata, delle speranze che non erano morte, delle possibilità che rimanevano per un riscatto della convivenza sul delirio delle divisioni imposte da chi disprezzava la vita badando solo al potere. Era in una certa misura ottimista, l’ottimismo della volontà di un uomo che vedeva nell’Europa una madre che avrebbe ridato ai suoi figli rissosi la giusta collocazione all’interno della grande famiglia del continente. Come qualcuno scrisse, ricordando il suo impegno “l’Europa non era solo il futuro ma la costruzione politica che avrebbe risolto i problemi del passato. E lui insisteva sul fatto che il Mediterraneo e i suoi simboli, come appunto il pane, potevano essere il punto di partenza per una nuova cultura dell’uomo veramente europeo”.
Predrag immaginava e sperava in un Europa ben diversa da quella che erige muri, srotola fili spinati, rifiuta l’altro senza pensare, egoisticamente, che in fondo è solo l’immagine di se stessa e della sua gente con più disperazione, fame e paura.
Posted on: 2021/05/29, by : admin