Un libro per voi: “La squadra spezzata”, memorie del 1956 ungherese

di Marco Travaglini|

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Sessantacinque anni fa il mondo scopriva, anticipando la Praga del 1968, il desiderio di un socialismo dal volto umano. La sera del 23 ottobre 1956, la rivoluzione ungherese mosse a Budapest i suoi primi e unici passi. In quei giorni d’autunno, come in un crescendo rossiniano, si consumava nella capitale ungherese anche la tragedia del comunismo internazionale che aveva avuto il suo prologo nel rapporto “segreto” di Krusciov su crimini di Stalin e mesi dopo con la sollevazione degli operai polacchi di Poznan il 29 giugno. Ma il vento della libertà che spirò su Budapest fu soltanto una folata, breve, per quanto intensa. Alla insurrezione ungherese si contrappose la potenza di fuoco dei carri armati della Stella rossa. Un evidente squilibrio di forze: la repressione, anche interna ad opera della polizia segreta ungherese, fu immediata. Il 4 novembre, le truppe sovietiche presero il controllo del Paese. L’Ungheria si ritrovò a contare i suoi morti (circa tremila) e feriti, mentre centinaia di centinaia di migliaia di ungheresi presero la strada dell’Occidente. Tra questi, vi fu anche una mitica squadra di calcio, la Honved, sorpresa all’estero dagli avvenimenti.

“Se la guardi giocare e poi vai a vedere il museo delle Belle Arti, apprezzerai di più certi quadri”. È l’inizio degli anni Cinquanta a Budapest, quando l’operaio Lajos parla così al figlio Gábor, protagonista de “La squadra spezzata” (ed. Limina), affascinante e amaro romanzo di Luigi Bolognini, che ci riporta 65 anni dopo ai fatti di Ungheria. Già il sottotitolo del libro svela di chi sta parlando: “L’Aranycsapat di Puskás e la rivoluzione ungherese del 1956”. La Honvéd, squadra dell’esercito magiaro (ai tempi dell’Impero austro-ungarico – “Honvéd /difensore della patria” – era la definizione che veniva data alle forze armate ungheresi) è stata una leg­genda. Negli anni ‘40 e ’50, nelle file dei bianco-rossi, giocarono alcuni tra i migliori calciatori ungheresi: Ferenc Puskás, József Bozsik, Zoltán Czibor e Sándor Kocsis, che formarono l’ossatura del mitico Aranycsapat ( la “squadra d’oro”), la nazionale ungherese che espresse il miglior calcio del mondo in quell’epoca.

Macinando gol e spettacolo, acclamata ovunque, la “mitica” Ungheria regalò bellezza e orgoglio passando dai trionfi alle Olimpiadi del 1952 alle due storiche vittorie con l’Inghilterra dei “maestri” ( 6 a 3 a Wembley nel 1953 e 7 a 1 a Budapest l’anno dopo ). L’Aranycsapat di Puskás era destinata a vincere, emblema di un regime – quello comunista ungherese – che l’aveva eletta a simbolo. Fino alla sconfitta nella finale della Coppa Rimet del 1954, unica partita persa dai magiari su cinquanta incontri disputati tra il 1950 e il 1956. Vale la pena ricordare la prima parte, la più esaltante, della “serie magica”: tra il 14 maggio 1950 (sconfitta in Austria per 3-5) e il 4 luglio 1954 (caduta nella finale del Mondiale a opera dei tedeschi, 2-3), collezionò 29 vittorie e 3 pareggi su 32 partite, con 143 gol fatti e 33 subiti. Un gioco offensivo, spumeggiante, irresistibile. Anche l’Italia ne fece le spese. Domenica 17 maggio 1953, a Roma, venne inaugurato lo Stadio Olimpico. Gli azzurri venivano da una tradizione favorevole: da 28 anni gli ungheresi non vincevano sul suolo italiano. Finì con un netto 0-3 per i magiari in maglia rossa ( gol di Hidekguti e “doppietta” di Puskás). Per la prima volta la radio ungherese trasmise un incontro di calcio in diretta e al termine si udirono distintamente gli applausi a scena aperta dell’Olimpico. La storia di questa compagine leggendaria è raccontata magistralmente da Bo­lognini ne “La squadra spezzata “, riportando il gioco del calcio alla sua essenza, prima che diventasse (purtroppo!!) solo business e denaro.

“Il calcio è l’arte di comprimere la storia universale in 90 minuti”, disse George Bernard Shaw. Ed è ciò che racconta questo libro dove emerge anche la figura del sedicenne Gábor che, di fronte all’infrangersi del mito degli undici “eroi” dietro al pallone di cuoio, vide andare in frantumi anche i sogni suoi e quelli di un intero Paese. Senza le speranze suscitate dall’Aranycsapat di Puskás e compagni, restò solo una realtà dura, amara. La delusione mise in dubbio tutto quello in cui credevano lui e gli altri ungheresi. E quando, il 23 ottobre 1956, scoppiò la rivolta contro la dittatura comunista, il giovane Gábor prese parte alla “rivoluzione”. Lottò per creare un socialismo nuovo, democratico, “dal volto umano”. Fino a quando l’esercito sovietico invase Budapest, soffocando nel sangue il suo sogno, quello di Imre Nagy, il presidente della Repubblica popolare d’Ungheria (nella foto), e di un intero popolo che si trovò a combattere nelle stesse strade descritte da Ferenc Molnár ne “I ragazzi della via Pál”. Con coraggio, Nagy trasmise un messaggio alla radio: “Oggi all’alba le truppe sovietiche hanno aggredito la nostra capitale con l’evidente intento di rovesciare il governo legale e democratico di Ungheria. Le nostre truppe sono impegnate nel combattimento. Il governo è al suo posto. Comunico questo fatto al popolo del nostro Paese ed al mondo intero”. Nagy fu impiccato due anni dopo.

Nei giorni della rivolta contro i carri armati dell’Armata Rossa, espressione violenta dell’oppressione di Mosca, la Honvéd era all’estero, in Spagna, impegnata in una partita di Coppa dei Campioni contro l’Atletico Bilbao. All’unisono, i giocatori si rifiutarono di tornare in patria e disputarono l’incontro di ritorno sul campo neutro di Bruxelles. Mesi dopo, al termine di alcune tournée in Sudamerica, la squadra visse la sua disgregazione: una parte dei calciatori optò per il ritorno in patria, altri, le “stelle” Sándor Kocsis e Ferenc Puskás, trovarono un ingaggio in Spagna, il primo al Barcellona, l’altro al Real Madrid. Il mito della “squadra d’oro”, forse la più grande di tutti i tempi, era caduto in pezzi. E non sarebbe mai più rinato.




Posted on: 2021/10/22, by :