Un sistema fiscale “progressivo”…, ma solo per i meno abbienti
di Anna Paschero|
|La “grande” riforma fiscale del 1971, (Legge Delega 825 del 9/10/1971) con la quale è stata introdotta dal 1° gennaio 1974 nel nostro ordinamento l’imposta sul reddito delle persone fisiche, era basata su principi ispiratori come quello della progressività e della personalità dell’imposta. Una imposta personale e progressiva presupponeva, allora come del resto anche oggi, il passaggio da un sistema di imposte sui singoli redditi – tipico del periodo ottocentesco – ad una imposta sul reddito globale della persona. Il progetto – elaborato dal prof. Cesare Cosciani 1 e fondato su solide basi teoriche – venne attuato in misura solo parziale e in alcuni casi distorto, per venire immediatamente smontato negli anni successivi dal sistema politico italiano con l’introduzione di nuove esenzioni e diverse erosioni delle basi imponibili.
Da allora e per anni, fino ai giorni nostri, la legislazione in materia fiscale ha manipolato il sistema tributario, in virtù di esigenze momentanee di politica economica, ma più spesso per esigenze di meri interessi politici ed elettorali. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha richiamato l’importanza che ebbe all’inizio degli anni ’70 la riforma Cosciani-Visentini, come strada da percorrere anche oggi, e ha rimarcato come il sistema fiscale, dato il suo peso quantitativo e qualitativo nel bilancio dello Stato, pervade fortemente la vita economica e sociale del nostro paese.
Ricorda infatti Joseph Schumpeter che la storia del bilancio pubblico è la storia della civiltà politica di un paese. Premessa quella appena accennata, necessaria a poter meglio comprendere il contenuto del documento conclusivo delle Commissioni Camera e Senato congiunte sull’Indagine conoscitiva sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, così come ha fatto Rocco Artifoni nel suo articolo Interrogativi sulla riforma del fisco proposta dal Parlamento in :https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2021/07/model_-ra.pdf.
Gli interrogativi sono molti e resteranno senza risposta perché il documento, così come formulato in maniera definitiva, non rappresenta la sintesi di una visione unitaria verso la quale indirizzare le scelte del governo, bensì la mediazione tra posizioni politiche contrastanti ognuna delle quali esprime una sua visione del mondo e, come tali, incongruenti.
L’attuale sistema italiano, composto da una serie di imposte cedolari autonome, che colpiscono i vari cespiti… crea una situazione di sperequazione tra i diversi redditieri, a seconda della fonte del loro reddito, senza che la diversità di trattamento sia giustificata né dalla natura del reddito, né dal suo ammontare… Il sistema cedolare, in altre parole, fa venir meno quella visione unitaria e quell’omogeneità di trattamento che è alla base di ogni sistema fiscale perequato. Queste parole, scritte nel 1964 dal Prof. Cosciani nella sua relazione sullo “Stato dei lavori della commissione per lo studio della riforma tributaria” sono di una impressionante attualità, alla luce degli indirizzi forniti dalle Commissioni congiunte Camera e Senato, indirizzi che ci riportato allo Statuto Albertino del 1848 piuttosto che alla Costituzione Italiana del 1946. L’introduzione del concetto di “progressività” richiede necessariamente di dover tener conto del reddito globale, perché altrimenti viene sovratassato a parità di reddito il contribuente che beneficia di un’unica fonte rispetto a quello le cui entrate hanno origini diversificate, come da lavoro autonomo o da valori mobiliari e immobiliari.
La Commissione Cosciani nel 1964 così scriveva: Per realizzare una progressività perequata, efficiente e trasparente… è necessario conglobare le varie imposte sul reddito in un’unica imposta personale e progressiva sul reddito globale… Tale conglobamento deve riguardare non solo le imposte personali sul reddito… ma anche quelle cedolari… a carattere più o meno reale, e relative addizionali. I principi direttivi della Legge Delega 825 del 1971, infatti, dispongono all’art. 2 che il carattere personale e progressivo dell’imposta deve essere attuato applicando l’imposta al reddito complessivo netto comunque conseguito a cui devono concorrere tutti i redditi propri del soggetto, fatto salvo il contenuto dell’articolo 9, dove la materia delle agevolazioni avrebbe dovuto essere regolata in base al criterio generale di limitare nella maggior possibile misura le deroghe ai principi di generalità e di progressività dell’imposizione. E ciò a tutela della universalità e personalità dell’imposta, nonché ai principi di equità orizzontale e verticale.
Come avvenuto negli ultimi cinquant’anni, i fautori dell’attuale riforma fiscale si stanno muovendo nella stessa direzione del passato, ovvero diametralmente opposta a quella auspicata da Draghi. E sarà così che la progressività dell’imposta continuerà a colpire i redditi medio bassi che non beneficeranno di alcuna riduzione dalla revisione del sistema fiscale, salvo la possibile esenzione del cosiddetto “minimo vitale” senza scalino, da definire solo in ragione dell’esistenza, o meno, dell’eventuale copertura finanziaria.
All’opposto, i redditi medio alti fruiranno di una consistente riduzione fiscale, sia per effetto della rideterminazione della terza aliquota, sia per effetto dell’allineamento del prelievo fiscale sui redditi finanziari e da capitale alla prima aliquota del 23%. In pratica la progressività si ferma al secondo degli attuali scaglioni di imposta, successivamente il sistema diventa piatto. Il costo della riforma – che avrebbe dovuto essere a valore zero – tra riduzione di imposte dirette e indirette presenterà un conto piuttosto salato, che le Commissioni hanno sottaciuto volontariamente, con grave irresponsabilità, dichiarando che le risorse finanziarie “si troveranno”. Come sempre, aumentando il debito.
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Da allora e per anni, fino ai giorni nostri, la legislazione in materia fiscale ha manipolato il sistema tributario, in virtù di esigenze momentanee di politica economica, ma più spesso per esigenze di meri interessi politici ed elettorali. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha richiamato l’importanza che ebbe all’inizio degli anni ’70 la riforma Cosciani-Visentini, come strada da percorrere anche oggi, e ha rimarcato come il sistema fiscale, dato il suo peso quantitativo e qualitativo nel bilancio dello Stato, pervade fortemente la vita economica e sociale del nostro paese.
Ricorda infatti Joseph Schumpeter che la storia del bilancio pubblico è la storia della civiltà politica di un paese. Premessa quella appena accennata, necessaria a poter meglio comprendere il contenuto del documento conclusivo delle Commissioni Camera e Senato congiunte sull’Indagine conoscitiva sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, così come ha fatto Rocco Artifoni nel suo articolo Interrogativi sulla riforma del fisco proposta dal Parlamento in :https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2021/07/model_-ra.pdf.
Gli interrogativi sono molti e resteranno senza risposta perché il documento, così come formulato in maniera definitiva, non rappresenta la sintesi di una visione unitaria verso la quale indirizzare le scelte del governo, bensì la mediazione tra posizioni politiche contrastanti ognuna delle quali esprime una sua visione del mondo e, come tali, incongruenti.
L’attuale sistema italiano, composto da una serie di imposte cedolari autonome, che colpiscono i vari cespiti… crea una situazione di sperequazione tra i diversi redditieri, a seconda della fonte del loro reddito, senza che la diversità di trattamento sia giustificata né dalla natura del reddito, né dal suo ammontare… Il sistema cedolare, in altre parole, fa venir meno quella visione unitaria e quell’omogeneità di trattamento che è alla base di ogni sistema fiscale perequato. Queste parole, scritte nel 1964 dal Prof. Cosciani nella sua relazione sullo “Stato dei lavori della commissione per lo studio della riforma tributaria” sono di una impressionante attualità, alla luce degli indirizzi forniti dalle Commissioni congiunte Camera e Senato, indirizzi che ci riportato allo Statuto Albertino del 1848 piuttosto che alla Costituzione Italiana del 1946. L’introduzione del concetto di “progressività” richiede necessariamente di dover tener conto del reddito globale, perché altrimenti viene sovratassato a parità di reddito il contribuente che beneficia di un’unica fonte rispetto a quello le cui entrate hanno origini diversificate, come da lavoro autonomo o da valori mobiliari e immobiliari.
La Commissione Cosciani nel 1964 così scriveva: Per realizzare una progressività perequata, efficiente e trasparente… è necessario conglobare le varie imposte sul reddito in un’unica imposta personale e progressiva sul reddito globale… Tale conglobamento deve riguardare non solo le imposte personali sul reddito… ma anche quelle cedolari… a carattere più o meno reale, e relative addizionali. I principi direttivi della Legge Delega 825 del 1971, infatti, dispongono all’art. 2 che il carattere personale e progressivo dell’imposta deve essere attuato applicando l’imposta al reddito complessivo netto comunque conseguito a cui devono concorrere tutti i redditi propri del soggetto, fatto salvo il contenuto dell’articolo 9, dove la materia delle agevolazioni avrebbe dovuto essere regolata in base al criterio generale di limitare nella maggior possibile misura le deroghe ai principi di generalità e di progressività dell’imposizione. E ciò a tutela della universalità e personalità dell’imposta, nonché ai principi di equità orizzontale e verticale.
Come avvenuto negli ultimi cinquant’anni, i fautori dell’attuale riforma fiscale si stanno muovendo nella stessa direzione del passato, ovvero diametralmente opposta a quella auspicata da Draghi. E sarà così che la progressività dell’imposta continuerà a colpire i redditi medio bassi che non beneficeranno di alcuna riduzione dalla revisione del sistema fiscale, salvo la possibile esenzione del cosiddetto “minimo vitale” senza scalino, da definire solo in ragione dell’esistenza, o meno, dell’eventuale copertura finanziaria.
All’opposto, i redditi medio alti fruiranno di una consistente riduzione fiscale, sia per effetto della rideterminazione della terza aliquota, sia per effetto dell’allineamento del prelievo fiscale sui redditi finanziari e da capitale alla prima aliquota del 23%. In pratica la progressività si ferma al secondo degli attuali scaglioni di imposta, successivamente il sistema diventa piatto. Il costo della riforma – che avrebbe dovuto essere a valore zero – tra riduzione di imposte dirette e indirette presenterà un conto piuttosto salato, che le Commissioni hanno sottaciuto volontariamente, con grave irresponsabilità, dichiarando che le risorse finanziarie “si troveranno”. Come sempre, aumentando il debito.
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1Pubblicato nel 1964 con lo “Stato dei lavori della Commissione per lo studio della Riforma Tributaria”.
Posted on: 2021/07/09, by : admin
Posted on: 2021/07/09, by : admin