Una chimera la concorrenza tra sanità pubblica e privata

di Giuseppina Viberti |

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L’interessante articolo “Concorrenza in sanità: perché mai dovrebbe funzionare?”,1 pubblicato il 7 gennaio sul Sole 24 Ore Sanità a cura dei Prof. Livio Garattini e Alessandro Nobili (IRCCS Istituto Mario Negri), ci ha indotti a riflettere e approfondire questo argomento di cui si parla da anni con risultati altalenanti.

Inoltre “se la Covid deve essere affrontata alla stregua di un’influenza”, come propone a livello europeo il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez nell’affermare che si va verso una malattia endemica ed è quindi ora di “cambiare approccio”, diventa inevitabile aprire una riflessione sulle modalità di gestione della pandemia sia per uscire dalla fase emergenziale, sia per gestire una quotidianità prolungata.

Esigenza non peregrina a due anni di distanza dall’emersione del Coronavirus come mostrano le lunghe file davanti alle farmacie o agli ingressi degli ospedali con il rischio altissimo di contagio. Il che ci porta alla domanda se non sia il momento di una energica rivisitazione dell’esistente.


Sia le parole di Garattini e di Nobili, sia le affermazioni del primo ministro Sanchez, ci suggeriscono quanto sia importante ridiscutere il Sistema Sanitario dal punto di vista dell’efficienza e dei risultati. Le teorie liberiste portano a pensare che la concorrenza (ossia la mano invisibile del mercato) dovrebbe contribuire ad aumentare l’efficienza, migliorare la qualità, stimolare l’innovazione e, di conseguenza, migliorare la qualità dei sistemi sanitari.

Il principio dovrebbe trovare applicazione anche nei sistemi sanitari, ma nella fattispecie occorre avanzare alcune considerazioni sulla natura del settore e sul fatto che i dipendenti pubblici lavorano con “regole” e condizioni in gran parte diverse. I tentativi di inserire “obiettivi” e “retribuzioni di risultato”, si scontrano da anni con la rigidità della gestione delle risorse (per preparare un medico o un infermiere occorrono anni e anni) e, specie in Italia, con la burocratizzazione del sistema che rimane elevata.

L’inserimento di operatori privati insieme a operatori pubblici (sistema americano e in parte inglese) non ha creato risultati apprezzabili in quanto le “regole del gioco” fra i due sistemi sono ancora molto diverse, generando risultati contrastanti. Sotto il profilo della domanda, i pazienti non possono essere considerati dei normali consumatori in quanto, per l’assenza di competenze (asimmetria informativa), hanno bisogno di un intermediario che è rappresentato dal medico che dovrebbe decidere le cure più appropriate per quel determinato caso (una specie di broker). A ciò si aggiunge che i pazienti sono poco razionali nelle loro decisioni per la fragilità causata dalla malattia e quindi sono sottoposti all’influenza dei media, ai consigli degli amici e alle indicazioni dei medici che possono svolgere una sorta di induzione non razionale nella scelta delle cure.

L’assenza di responsabilità economica, facilitata dalla possibilità di sfruttare sentimenti di ansie e di paure (quasi un ricatto) può indurre comportamenti discutibili fra i pazienti e i medici. Sotto il profilo dell’offerta, la concorrenza richiede un numero adeguato di concorrenti che offrono lo stesso tipo di servizi e operano con regole simili sui vari aspetti (approvvigionamenti, personale, strutture, ecc). I Pronto Soccorso, in Italia, sono per la stragrande maggioranza pubblici; gli operatori privati possono concentrarsi sulla selezione di interventi sanitari più remunerativi e meno costosi (in Piemonte nessun privato esegue trapianti, cura con i farmaci innovativi i tumori o le malattie neurodegenerative in quanto troppo costosi).

La remunerazione delle prestazioni con le tariffe a DRG ispirata al sistema americano, nell’ultimo decennio ha risollevato il dibattito sulla reale relazione fra concorrenza ed efficienza: la crisi economica, la popolazione sempre più anziana, lo sviluppo di sistemi diagnostici e terapeutici innovativi ma molto costosi (diagnostica in biologia molecolare, cure con anticorpi monoclonali e farmaci innovativi per oncologia e altre patologie, etc.) hanno rimesso in discussione tutto il sistema fortemente influenzato dagli obiettivi politici diversi se i sistemi sono governati dalla sinistra (più orientata al sistema pubblico) o dalla destra (più orientata a favorire il sistema privato).

La concorrenza fra sistemi pubblici non ha prodotto alcun risultato positivo; la sinergia fra aziende sanitarie per creare reti ospedaliere efficienti è spesso fallita per resistenze politiche e sindacali con riorganizzazioni spesso discutibili e correlate a scelte opportunistiche e poco razionali. I pazienti preferiscono utilizzare servizi sanitari vicini a casa, ma il sistema pubblico deve garantire i LEA (livelli essenziali di cura) e quindi solo rapporti di collaborazione fra aziende e lo sviluppo di servizi territoriali efficienti (case di comunità, MMG in gruppo con studi aperti 12 ore al giorno) può produrre efficienza e utilizzare al meglio le risorse economiche che non sono infinite.

L’altro aspetto importante è ridurre la burocrazia presente nel sistema pubblico che condiziona i tempi e le procedure di acquisizione dei sistemi diagnostici innovativi, del personale, dei farmaci e non responsabilizza con obiettivi raggiungibili e valutabili il personale dirigente e delle professioni sanitarie che lavora in sinergia per la cura dei pazienti e sviluppare in modo adeguato l’assistenza territoriale per sgravare l’ospedale dei casi meno complessi. Un lavoro da iniziare con rapidità se si vuole conservare il sistema italiano considerato uno dei migliori al mondo: ma per quanto ancora?

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