Una passeggiata con personaggi d’altri tempi: Felice Cavallotti
di Marco Travaglini |
|Felice Cavallotti (1842-1898), politico e poeta, drammaturgo e patriota, fondatore con Agostino Bertani dell’estrema sinistra storica, aveva un carattere forte, passionale e in tutta la vita restò fedele ai suoi principi, dando prova di integrità morale. Impegnato e presente nella vita pubblica dell’epoca soggiornò a lungo sulla sponda piemontese del Verbano, frequentando la casa di sua zia Adelaide a Ghevio (all’epoca comune autonomo, oggi frazione di Meina) e successivamente Dagnente (oggi frazione di Arona) dove nel 1883 acquistò una modesta casa allora immersa nel verde, trasformandola nel suo “buen retiro”.
Da Milano vi trasportò libri e carte, arredando le stanze con estrema semplicità, senza sfarzo. Cavallotti quando ritornava sul lago era solito raggiungere Arona in treno, imbarcarsi sui battelli della Navigazione del Lago Maggiore fino a Meina e da lì, passeggiando lungo i sentieri, saliva a piedi fino a Dagnente. Un itinerario letterario, realizzato dall’amministrazione comunale di Arona, ricorda le gesta di questo straordinario e particolarissimo uomo politico, giornalista e letterato, restituendone il profilo ben al di là dell’immaginario celebrativo.
Il percorso si snoda dalla stazione ferroviaria sino alla collina dove abitava ed è illustrato da nove pannelli e leggii. Quella di Cavallotti fu una vita davvero intensa. Non ancora diciottenne fuggì di casa per partecipare alla seconda spedizione garibaldina in Sicilia, combatté e svolse il compito di corrispondente di guerra. Tornato a Milano intraprese l’attività giornalistica alla quale affiancò quelle di poeta, drammaturgo e storico. Nel 1866, nella Terza guerra d’Indipendenza si unì ancora una volta a Garibaldi nel tentativo di liberare il Trentino e l’anno dopo partecipò con “l’eroe dei due mondi” alla fallita insurrezione di Roma. Collaborò con diversi giornali tra i quali la Gazzetta del Popolo della Lombardia, l’Indipendente di Napoli, la Gazzetta di Milano, il Gazzettino Rosa (foglio della scapigliatura milanese).
Nel 1873 il trentunenne Felice Cavallotti venne eletto per la prima volta al Parlamento come deputato di Corteolona, nel Pavese. Nel suo primo discorso disse : “Abbiamo una sola parola d’ordine: onestà; una religione: giustizia ed eguaglianza, libertà e progresso; un’arma: il coraggio delle nostre opinioni”. In Parlamento rimase per dieci legislature consecutive, dall’XI° alla XX° del Regno d’Italia, distinguendosi per le battaglie in difesa delle libertà statutarie e degli ideali democratici. Attivo e polemico nel contrastare le politiche degli ultimi governi della Destra storica, Cavallotti fu scettico anche a proposito della Sinistra che salì al potere nel 1876, scelse di rimanere all’opposizione e ne denunciò il trasformismo negli anni di Agostino Depretis con frasi profetiche: “Quando il popolo sente le stesse parole pronunciate da uomini di opposte convinzioni, finisce col non credere più in nulla e in nessuno; e s’infiltra in lui lo scetticismo, questa malaria dei popoli liberi, questa peste dei popoli giovani”.
Cavallotti, che nel 1871 aveva espresso il proprio appoggio alla Comune di Parigi, mostrava attenzione verso le idee socialiste, pur non condividendo fino in fondo l’approccio di classe alla “questione sociale” che peraltro anche lui denunciava da parlamentare. Se i socialisti vedevano nei radicali una sinistra borghese, nei fatti gli uni e gli altri si trovarono insieme nelle lotte per l’emancipazione delle classi subalterne e nell’opposizione al colonialismo italiano. Il primo operaio ad essere eletto parlamentare, nel 1882 e proprio tra le file dei radicali, fu Antonio Maffi dell’Unione Operaia Radicale.
Instancabile e battagliero, portò avanti le sue idee scrivendo articoli e partecipando a comizi che gli procurarono, oltre all’appellativo di “bardo della democrazia”, frequenti processi e duelli, il trentatreesimo dei quali gli risultò fatale: il 6 marzo 1898 venne colpito mortalmente dalla sciabola di Ferruccio Macola, direttore della Gazzetta di Venezia, un tempo suo grande ammiratore. Il poeta Lorenzo Stecchetti (pseudonimo dello “scapigliato” Olindo Guerrini) dedicò al tragico evento i versi “nel mortal duello non fu tua la vittoria, ma con un colpo di spada o di coltello non si uccide la Storia”.
Eseguendone le volontà testamentarie fu sepolto nella nuda terra nel cimitero di Dagnente (oggi frazione di Arona), sulle alture che dominano la parte bassa del lago Maggiore. In memoria di Felice Cavallotti fu eretto nel cimitero un imponente monumento, opera dello scultore Paolo Troubetskoj e dell’architetto e pittore Luigi Conconi. Una scelta che forse non avrebbe apprezzato, ma che venne così commentata da Carlo Müller in “Felice Cavallotti a Ghevio”, pubblicato su “Verbania” nel marzo 1910: “Ma forse, più di Cavallotti, più del suo cuore, della sua volontà, poterono il destino e il consenso popolare, i quali meditavano di erigere, alto e cospicuo nell’ampiezza luminosa del cielo, sul colle eminente, al cospetto del lago aperto e del frequente piano lombardo, un epico monumento che custodisse, con la salma dell’eroe, e proclamasse, con lunga eco all’intorno, la memoria ammonitrice di lui, che, per gli altri sdegni e gli impeti generosi, se non sempre giusti e temperati, del gran cuore, meritò d’essere chiamato il cavaliere della democrazia italiana”.
Il funerale di Cavallotti fu imponente; un corteo di tre chilometri ne accompagnò il feretro. Per la morte di colui al quale i suoi eredi politici si ispirarono nel fondare, sei anni più tardi, il Partito Radicale Italiano furono pronunciati memorabili discorsi funebri come quello, pieno di passione, di Giosuè Carducci all’Università di Bologna. Il socialista Filippo Turati lo commemorò con un commosso intervento al cimitero di Milano, dove la bara sostò durante il viaggio da Roma a Dagnente per ricevere gli onori della città dov’era nato il 6 ottobre 1842: “Caro Felice, recliniamo oggi sulla tua bara la nostra rossa bandiera, del colore che pure tu amavi, sapendo che la sua ombra non ti sarà molesta”. Uno dei primi monumenti, opera dello scultore Gaudenzio Rossi, venne inaugurato a Intra il 14 agosto 1904. Nell’opera a figura intera Felice Cavallotti, con le mani dietro alle spalle, ha lo sguardo rivolto “verso la sua Dagnente”. Un tributo postumo ad un uomo che si batté tutta la vita contro ingiustizie e soprusi con un’incredibile energia.
Alessandro Galante Garrone, ricordandone la figura, scrisse che quella forza gli derivava “dalla coerenza, dalla fedeltà agli ideali, dal senso del limite, dall’impegno per riforme concrete senza sterili intransigenze e senza nessun cedimento alle lusinghe del potere”.
Posted on: 2022/03/31, by : admin
Da Milano vi trasportò libri e carte, arredando le stanze con estrema semplicità, senza sfarzo. Cavallotti quando ritornava sul lago era solito raggiungere Arona in treno, imbarcarsi sui battelli della Navigazione del Lago Maggiore fino a Meina e da lì, passeggiando lungo i sentieri, saliva a piedi fino a Dagnente. Un itinerario letterario, realizzato dall’amministrazione comunale di Arona, ricorda le gesta di questo straordinario e particolarissimo uomo politico, giornalista e letterato, restituendone il profilo ben al di là dell’immaginario celebrativo.
Il percorso si snoda dalla stazione ferroviaria sino alla collina dove abitava ed è illustrato da nove pannelli e leggii. Quella di Cavallotti fu una vita davvero intensa. Non ancora diciottenne fuggì di casa per partecipare alla seconda spedizione garibaldina in Sicilia, combatté e svolse il compito di corrispondente di guerra. Tornato a Milano intraprese l’attività giornalistica alla quale affiancò quelle di poeta, drammaturgo e storico. Nel 1866, nella Terza guerra d’Indipendenza si unì ancora una volta a Garibaldi nel tentativo di liberare il Trentino e l’anno dopo partecipò con “l’eroe dei due mondi” alla fallita insurrezione di Roma. Collaborò con diversi giornali tra i quali la Gazzetta del Popolo della Lombardia, l’Indipendente di Napoli, la Gazzetta di Milano, il Gazzettino Rosa (foglio della scapigliatura milanese).
Nel 1873 il trentunenne Felice Cavallotti venne eletto per la prima volta al Parlamento come deputato di Corteolona, nel Pavese. Nel suo primo discorso disse : “Abbiamo una sola parola d’ordine: onestà; una religione: giustizia ed eguaglianza, libertà e progresso; un’arma: il coraggio delle nostre opinioni”. In Parlamento rimase per dieci legislature consecutive, dall’XI° alla XX° del Regno d’Italia, distinguendosi per le battaglie in difesa delle libertà statutarie e degli ideali democratici. Attivo e polemico nel contrastare le politiche degli ultimi governi della Destra storica, Cavallotti fu scettico anche a proposito della Sinistra che salì al potere nel 1876, scelse di rimanere all’opposizione e ne denunciò il trasformismo negli anni di Agostino Depretis con frasi profetiche: “Quando il popolo sente le stesse parole pronunciate da uomini di opposte convinzioni, finisce col non credere più in nulla e in nessuno; e s’infiltra in lui lo scetticismo, questa malaria dei popoli liberi, questa peste dei popoli giovani”.
Cavallotti, che nel 1871 aveva espresso il proprio appoggio alla Comune di Parigi, mostrava attenzione verso le idee socialiste, pur non condividendo fino in fondo l’approccio di classe alla “questione sociale” che peraltro anche lui denunciava da parlamentare. Se i socialisti vedevano nei radicali una sinistra borghese, nei fatti gli uni e gli altri si trovarono insieme nelle lotte per l’emancipazione delle classi subalterne e nell’opposizione al colonialismo italiano. Il primo operaio ad essere eletto parlamentare, nel 1882 e proprio tra le file dei radicali, fu Antonio Maffi dell’Unione Operaia Radicale.
Instancabile e battagliero, portò avanti le sue idee scrivendo articoli e partecipando a comizi che gli procurarono, oltre all’appellativo di “bardo della democrazia”, frequenti processi e duelli, il trentatreesimo dei quali gli risultò fatale: il 6 marzo 1898 venne colpito mortalmente dalla sciabola di Ferruccio Macola, direttore della Gazzetta di Venezia, un tempo suo grande ammiratore. Il poeta Lorenzo Stecchetti (pseudonimo dello “scapigliato” Olindo Guerrini) dedicò al tragico evento i versi “nel mortal duello non fu tua la vittoria, ma con un colpo di spada o di coltello non si uccide la Storia”.
Eseguendone le volontà testamentarie fu sepolto nella nuda terra nel cimitero di Dagnente (oggi frazione di Arona), sulle alture che dominano la parte bassa del lago Maggiore. In memoria di Felice Cavallotti fu eretto nel cimitero un imponente monumento, opera dello scultore Paolo Troubetskoj e dell’architetto e pittore Luigi Conconi. Una scelta che forse non avrebbe apprezzato, ma che venne così commentata da Carlo Müller in “Felice Cavallotti a Ghevio”, pubblicato su “Verbania” nel marzo 1910: “Ma forse, più di Cavallotti, più del suo cuore, della sua volontà, poterono il destino e il consenso popolare, i quali meditavano di erigere, alto e cospicuo nell’ampiezza luminosa del cielo, sul colle eminente, al cospetto del lago aperto e del frequente piano lombardo, un epico monumento che custodisse, con la salma dell’eroe, e proclamasse, con lunga eco all’intorno, la memoria ammonitrice di lui, che, per gli altri sdegni e gli impeti generosi, se non sempre giusti e temperati, del gran cuore, meritò d’essere chiamato il cavaliere della democrazia italiana”.
Il funerale di Cavallotti fu imponente; un corteo di tre chilometri ne accompagnò il feretro. Per la morte di colui al quale i suoi eredi politici si ispirarono nel fondare, sei anni più tardi, il Partito Radicale Italiano furono pronunciati memorabili discorsi funebri come quello, pieno di passione, di Giosuè Carducci all’Università di Bologna. Il socialista Filippo Turati lo commemorò con un commosso intervento al cimitero di Milano, dove la bara sostò durante il viaggio da Roma a Dagnente per ricevere gli onori della città dov’era nato il 6 ottobre 1842: “Caro Felice, recliniamo oggi sulla tua bara la nostra rossa bandiera, del colore che pure tu amavi, sapendo che la sua ombra non ti sarà molesta”. Uno dei primi monumenti, opera dello scultore Gaudenzio Rossi, venne inaugurato a Intra il 14 agosto 1904. Nell’opera a figura intera Felice Cavallotti, con le mani dietro alle spalle, ha lo sguardo rivolto “verso la sua Dagnente”. Un tributo postumo ad un uomo che si batté tutta la vita contro ingiustizie e soprusi con un’incredibile energia.
Alessandro Galante Garrone, ricordandone la figura, scrisse che quella forza gli derivava “dalla coerenza, dalla fedeltà agli ideali, dal senso del limite, dall’impegno per riforme concrete senza sterili intransigenze e senza nessun cedimento alle lusinghe del potere”.
Posted on: 2022/03/31, by : admin